"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8, luglio  2004

 


Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi

 

 

7.  Euforie necessarie

 

 

 


“(Leopardi) sta in alto, nel privilegio; il suo spirito può 

porsi a guardia della più integra figura umana 

perché gli è evitato ogni destino d’abiezione” 

A. ZANZOTTO, Fantasie di avvicinamento)

 

“La demenza, dunque, è la madre della scrittura 

e della lettura; ma non ne è la soluzione” 

(G. MANGANELLI, Discorso dell’Ombra e dello Stemma)

 

Solo chi non ne ha la minima pratica, può pensare che si possa scrivere per muse povere e tristi.

 

Foss’anche il lamento di Didone, l’euforia indispensabile per scrivere e cantare è del resto una di quelle cose che si conosce giusto per prova... - Quanto a Leopardi, gli stessi titoli essenziali, da canterino (Canti) e attor comico (Operette), dovrebbero pur dire qualcosa.

 

Lasciato a sé, invece, il dolore precipita in se stesso. 

O, con lingua più matematicamente adeguata: “nella sofferenza non vi è solo disequazione tra il tipo di esperienza e la comunicazione, ma vi è una recessione della comunicazione stessa. Il rischio non è il fraintendimento, ma il muto patire che strettamente si imparenta alla morte” (S. NATOLI, L’esperienza del dolore).

 

All’opposto, l’euforia del Canto salta fuori dalla sofferenza come Pinocchio dal ciocco di legno! - Ecco allora anche il “felice delirio” di Leopardi, la “contraddizione tra il messaggio e l’«euforia» del gesto che lo reggeva”; “tra il suo infinito parlar di morte e il suo roccioso non morire” (A. ZANZOTTO, Fantasie di avvicinamento)!

 

Tutto, per essere canto, deve nascere da una prima felicità essenziale: l“immaginazione” e la “sensibilità malinconica” hanno “forza”, e il “respiro dell’anima” non è faticoso solo se esiste “unaura di prosperità”  e un “vigor d’animo che non può stare senza un crepuscolo, un raggio, un barlume d’allegrezza(Zib. 136).

Si può dire lo stesso anche scrivendo che si è tutti nipotini di Petrarca: è Petrarca che, per obbedienza alleuforia della forma poetica, fa della sua stessa piaga un campo per giochi infiniti: il luogo dove, “attraverso la pura verbalità, la sua lacerazione diventa gioia.” (G. MANGANELLI, La penombra mentale).

 

Severino racconta lo stesso salto fuori dal dolore parlando della Ginestra: “il deserto è cantato dal fiore del deserto, ed è per questo suo canto che esso è contento. Alla ginestra non basta il deserto; basta il suo cantarlo” (Il Nulla e la Poesia).

 

Infatti. E tanto più nelle Operette morali, “ironia e parodia smorzano la solennità del domandare irridendo la vanità delle risposte, l’inconsistenza dei ragionamenti, la retorica che veste il nulla.(...). Leopardi - non bisogna dimenticarlo - è scrittore che diverte. E corrode.” (A. PRETE e S. NATOLI, Dialogo su Leopardi).

Ecco allora, nel nostro libro più cordiale, un emblema dell’essenziale: “solitaria, catastrofica e totalmente felice, la letteratura ride.” (G. MANGANELLI, Discorso dell’Ombra e dello Stemma).

 

(Per questo articolo, cascò a fagiolo una lettura de I Ching.
Dice infatti la linea mutante numero 3 dell’esagramma del Fuoco: 
“Il vecchio dovrebbe battere sulla ciotola e cantare. 
Invece si preoccupa della morte. Infausto”. Appunto)

 


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