"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8, luglio  2004

 


Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi

 

 

2.  Vaghe gioie del Nulla

 

 

 


 Felicità  non è altro che contentezza del proprio essere 

e del proprio modo di essere, soddisfazione, amore

perfetto del proprio stato, qualunque del resto esso stato

si sia, e fosse pur anco il più spregevole.”  (Zib. 4191)

 

Avrà anche ragione Ceronetti - o addirittura la Valduga! - quando sottolinea il vano ardore adolescente di Leopardi, il quale del piacere “parla sempre en philosophie, e in astratto, perché non conobbe che le frustate del desiderio, rese micidiali da una sensibilità da vertigine.” ("Chamfort, Leopardi e Qohélet", in Qohélet).

Però - tra Operette, Canti e Zibaldone - non è difficile catalogare gli innumerevoli casi di una pratica costante e quotidiana di piaceri disseminati come una polverina d’oro, un polline fatato, in tutti gli interstizi dell’esistere: una luce nel cielo, una lettura, un canto, come proprio un desiderio amorosamente coltivato, un eureka matematico, un viaggio, lo stesso dolore che solo si sospende sfumando nel sollievo del nulla, la stessa morte.

Il perché di questo talento Garboli lo racconta con un’iperbole: “come non si può superare la velocità della luce, così non si può sentire la vita più di Leopardi” (“Introduzione” a G. Leopardi, Canti). Sia proprio così, perché però la libido non vada via a perdersi dispersa e disperata, occorrono strategie del tutto consapevoli, che, nel caso del Nostro, la sapienza degli anni renderà sempre più lucide e paradossali.

Riconosciuta infatti sin da quasi bambino l’importanza della varietà e della ricchezza della vita, e il valore essenziale del miracolo del vigore del corpo, il punto per Leopardi neppure ventenne è quanto e come tutto questo possa durare prima di venire mortificato dall’irrompere di sapienze l’una più nefasta dell’altra: le stesse, né più né meno, che furono insopportabili perfino per il giovane Buddha: malattia, vecchiaia, morte. 

Chiaro che la prima strategia sarà allora tutta una rete di negazioni e inganni sospensivi dell’evidenza: per procurarsi ignoranze, ahimè, non più pure e intatte come quelle del “garzoncello” ancora innocente di tutto. 

Così, il celebre “nel pensier mi fingo” è lì a dirci che per Leopardi, già a poco più di vent’anni, il piacere nasce da una trama d’inganni, del resto in gran parte spontanea e naturale: un’inflorescenza autoallucinante da euforia di endorfine, rispetto a una realtà di per sé, invece, deprimente e mortifera: e la Natura è provvida proprio per non farcene accorgere, per farcene, con un quasi niente di benessere, dimenticare.

La piccola Terra, la “pallottola” (Dialogo d'Ercole e di Atlante), è allora ancora il migliore dei mondi possibili: perché, sonnambuli euforici, ci è ancora concesso di crederlo.


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