"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8, luglio  2004

 


Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi

 

 

2.  Ma quasi come

 

 

 


 

“Tout homme qui pense est un être cor-rompu” 

(J. J. ROUSSEAU, cit in Zib. 56)

Il passaggio dalla poesia idilliaca, puramente e oppiacea dell’infinito vago e fittiziamente ricreato, a quella del limitato mortifero mondo del vero - il cielo vuoto, il deserto, il vulcano, il conte Pepoli, Gino Capponi... - cambierà il fatto che sempre e in ogni caso tutto ciò sarà rifatto in “canto”? 

Forse neanche un po’, poiché qualunque fatto può finire nel frullatore magico della poesia ma solo a patto di diventare una “forza” (Zib. 136) che fa del magma informe e ustionante del dolore una forma che, appunto, ormai canta: “Se veramente fossero rimasti soltanto la noia e il disprezzo, il canto non risuonerebbe, non esisterebbe”; sempre, anche quando vede il proprio nulla, la poesia è un “respiro dell’anima”, un “aura di prosperità” (Zib. 136)

Entropia è anche il passaggio che da Natura decade, nell’uomo, a coscienza e Ragione. Così, moderni e dissenatamente ragionevoli come siamo ormai, succederà che nel piacere poetico l’inganno della bellezza sarà sì “fantastico”, ma lasciando all’intelletto, “in mezzo al delirio dell’immaginativa”, il sapere “benissimo ch’ella vaneggia.” (Zib. 777). La sospensione dell’incredulità di Coleridge è infatti una magalda insufficiente all’inganno necessario? Chissà. Nel tempo amletico e spleenetico del moderno, quello in cui “non è arbitrio degli uomini dimenticare le verità conosciute” (Dialogo di Timandro e di Eleandro), resta -sofisiticheria da virtuosi dell’autoinganno! - concedersi un varco ironico e gentile, delicato e profondamente innamorato, quello per cui  “Io sapeva perché oggidì non si può non sapere, ma quasi come non sapessi” (Zib. 214).


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