Entro
dipinta gabbia,
Fra
l’’ozio ed il diletto,
Educavasi
un tenero,
Amabile
augelletto
(G.
Leopardi, L’ucello)
Talmente
bella la poesia che Leopardi, bambino di dodici anni, dedica a L’ucello
(con una c), che Maria Corti, ne prese il primo
verso per il titolo della raccolta completa delle composizioni puerili (G.
Leopardi, Entro
dipinta gabbia).
Andrea
Zanzotto, che legge meravigliosamente Leopardi come autore del
“privilegio” di uno stracarico “di vita”, proprio nelle puerili
riconosce subito “un’illimitata forza vitale, potenzialmente
paradisiaca, che ardeva nel più accreditato rappresentante del
pessimismo «del testo»: ironia di una quasi mozartiana arcadia
infantile-celeste, tra il puzzo della cronaca dell’oggi” (A. Zanzotto, Prospezioni
e consuntivi, in Le poesie e
prose scelte).
E
dirà non poco, quanto a preveggenza, che sia un piccolo elogio della
fuga (“L’ali scuotendo volsegli / Lieto, e giocondo il tergo”) per
amore di una libertà preferita a qualunque comodità coatta.
A
parte le notazioni sugli uccelli dello Zibaldone
- sempre citate a proposito dell’Elogio
-, proprio
nei Canti
trovi presenze alate capaci di liberare tutti i significati
possibili.
Così,
nel Bruto
minore, l’uccello è figura dell’indifferenza
sostanziale del mondo alle zuffe urlate della specie umana, ancora però
non del tutto intuita come la più folle, allucinata e caotica:
“Ecco tra
nudi sassi o in verde ramo
e la fera e
l’augello,
del consueto
obblio gravido il petto,
l’alta ruina
ignora e le mutate
sorti del
mondo: e come prima il tetto
rosseggerà del
villanello industre,
al mattutino
canto
quel desterà
le valli, e per le balze
quella
l’inferma plebe
agiterà delle
minori belve.”
(Bruto
minore, vv. 91-99).
Oltre
il celeberrimo “solingo augellin” (Passero
solitario, v. 45), c’è “la rondinella vigile” che
“alle finestre intorno / cantando al novo giorno, / il cor non mi ferì”
(Il
risorgimento, 45-8), e il canto caotico, vicinissimo allo
spirito dell’Elogio,
della Quiete
dopo la tempesta: “Passata è la tempesta: / odo
augelli far festa, e la gallina, / tornata in su la via, / che ripete il
suo verso.” (vv.
1-4). Anche qui, come si vede, restando in zone battutissime
dell’opera di Leopardi.
Della
varietà e velocità degli uccelli, nella Crestomazia
Italiana, che Leopardi curò per l’editore Stella,
trovi la lode del Tasso, poeta che Leopardi amò, scrive chi sa,
“romanticamente” (“Ma come annoverar potrò narrando / De’ cari
augelli le sì varie vite?”, T. TASSO, Costumi
degli uccelli).
Discorso
a parte varrebbe la pena di accennare proprio per la gallina che
inaugura, oltre alla Quiete,
anche La
vita solitaria (“La
mattutina pioggia, allor che l’ale / battendo esulta nella chiusa
stanza / la gallinella...”, vv. 1-3). E che, soprattutto nel Supplemento generale a tutte le mie carte, è al centro di un frammento dalla silenziosa grazia
orientale:
“Galline
che tornano spontaneamente la sera alla loro stanza al coperto.
Passero solitario. Campagna in gran declivio veduta alquanti passi
in lontano, e villani che scendendo per essa si perdono tosto di
vista, altra
immagine
dell’infinito.”
Il
desiderio, infine, di essere un uccello accomuna il filosofo solitario
dell’Elogio
al pastore dell’Asia. Se cerchi sempre nella Crestomazia Italiana,
ne trovi facilmente una delle fonti possibili:
“Deh l’ali
avessi anch’io
Qual tu, da
girne a volo,
Librando in
aria il mio terrestre peso...”
(CELIO MAGNO A un uccellino)