"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8, luglio  2004

 


Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi

 

 

13.  Altre ali

 

 

 


 

Entro dipinta gabbia,

Fra l’’ozio ed il diletto,

Educavasi un tenero,

Amabile augelletto

(G. Leopardi, L’ucello)

 

Talmente bella la poesia che Leopardi, bambino di dodici anni, dedica a L’ucello (con una c), che Maria Corti, ne prese il primo verso per il titolo della raccolta completa delle composizioni puerili (G. Leopardi, Entro dipinta gabbia).

 

Andrea Zanzotto, che legge meravigliosamente Leopardi come autore del “privilegio” di uno stracarico “di vita”, proprio nelle puerili riconosce subito “un’illimitata forza vitale, potenzialmente paradisiaca, che ardeva nel più accreditato rappresentante del pessimismo «del testo»: ironia di una quasi mozartiana arcadia infantile-celeste, tra il puzzo della cronaca dell’oggi” (A. Zanzotto, Prospezioni e consuntivi, in Le poesie e prose scelte).

E dirà non poco, quanto a preveggenza, che sia un piccolo elogio della fuga (“L’ali scuotendo volsegli / Lieto, e giocondo il tergo”) per amore di una libertà preferita a qualunque comodità coatta.

 

A parte le notazioni sugli uccelli  dello Zibaldone - sempre citate a proposito dell’Elogio -,  proprio nei Canti  trovi presenze alate capaci di liberare tutti i significati possibili.

Così, nel Bruto minore, l’uccello è figura dell’indifferenza sostanziale del mondo alle zuffe urlate della specie umana, ancora però non del tutto intuita come la più folle, allucinata e caotica: 

 

“Ecco tra nudi sassi o in verde ramo

e la fera e l’augello,

del consueto obblio gravido il petto,

l’alta ruina ignora e le mutate

sorti del mondo: e come prima il tetto

rosseggerà del villanello industre,

al mattutino canto

quel desterà le valli, e per le balze

quella l’inferma plebe

agiterà delle minori belve.”

(Bruto minore, vv. 91-99).

 

Oltre il celeberrimo “solingo augellin” (Passero solitario, v. 45), c’è “la rondinella vigile” che “alle finestre intorno / cantando al novo giorno, / il cor non mi ferì”  (Il risorgimento, 45-8), e il canto caotico, vicinissimo allo spirito dell’Elogio, della Quiete dopo la tempesta: “Passata è la tempesta: / odo augelli far festa, e la gallina, / tornata in su la via, / che ripete il suo verso.” (vv. 1-4). Anche qui, come si vede, restando in zone battutissime dell’opera di Leopardi. 

Della varietà e velocità degli uccelli, nella Crestomazia Italiana, che Leopardi curò per l’editore Stella, trovi la lode del Tasso, poeta che Leopardi amò, scrive chi sa, “romanticamente” (“Ma come annoverar potrò narrando / De’ cari augelli le sì varie vite?”, T. TASSO, Costumi degli uccelli).

 

Discorso a parte varrebbe la pena di accennare proprio per la gallina che inaugura, oltre alla Quiete, anche La vita solitaria (“La mattutina pioggia, allor che l’ale / battendo esulta nella chiusa stanza / la gallinella...”, vv. 1-3). E che, soprattutto nel Supplemento generale a tutte le mie carte, è al centro di un frammento dalla silenziosa grazia orientale: 

“Galline che tornano spontaneamente la sera alla loro stanza al coperto. Passero solitario. Campagna in gran declivio veduta alquanti passi in lontano, e villani che scendendo per essa si perdono tosto di vista, altra immagine dell’infinito.” 

Il desiderio, infine, di essere un uccello accomuna il filosofo solitario dell’Elogio al pastore dell’Asia. Se cerchi sempre nella Crestomazia Italiana, ne trovi facilmente una delle fonti possibili: 

 

“Deh l’ali avessi anch’io

Qual tu, da girne a volo,

Librando in aria il mio terrestre peso...” 

(CELIO MAGNO A un uccellino)

 


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