"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8, luglio  2004

 


Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi

 

 

11.  Lode dell'impreciso (e cioè del naturale)

 

 

 


 

“La ragione è un lume, la Natura vuol essere illuminata 

dalla ragione non incendiata” (Zib. 23)

 

In pittura un segno troppo maniacalmente esatto, invece di riprodurre il calore palpitante di un corpo, ne fa un cadavere ingessato: è il tipo di precisione che premia il pusillanime, e purtroppo fu la tragedia di quelle sculture di Michelangelo che, morto lui, si prese a levigare. Poi, per fortuna, il buon Dio una volta tanto intervenne, e il levigatore fu fatto morire prima che portasse a termine quello scempio di esattezza.

 Allo stesso modo, una filosofia troppo esatta, portando all’inevitabile scoperta della diseconomia di ogni azione generosa, porterebbe alla morte quella stessa vita che pretenderebbe di capire e interpretare...

Per aderire alla vita, abbiamo bisogno di filosofie sufficientemente imprecise, di illusioni adeguatamente sfumanti: progetti che come uno sfondo leonardesco degradino verso il dolce cielo di una speranza meravigliosamente infondata e sorprendentemente necessaria: foss’anche il “dover essere” di Kant o addirittura di ogni bravo capitano di Conrad, naturalmente.

 

Nel caso di Leopardi, è la scrittura “il suo modo di fronteggiare il nulla che ogni giorno s’insinua nelle pieghe della vita, il modo per attingere - oltre di esso - il piacere d’esistere”  (A. Prete e S. Natoli, Dialogo su Leopardi)

 

Al contrario, una ragione scientifica che pretendesse di avere in sé la mappa intera dell’universo, sarebbe come un uomo che scambiasse l’oasi precaria, che il deserto gli concede raramente tra le dune, nel centro sicuro e inevitabile del deserto stesso, tutto per lui riconducibile a quell’oasi. Ma chi parla così, deve aver smesso da tempo di essere un carovaniere del deserto.


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