"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8 luglio 2004

 

Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi


 

 

 


10.  Il koan 

 

 

 

 

“Pare che solamente quello che non esiste, 

la negazione dell’essere, il niente, possa 

essere senza limiti, e che l’infinito venga in 

sostanza ad essere lo stesso che il nulla” 

(Zib. 4178)

Cambi il nome e cambia la cosa.

Galimberti (Il gioco delle opinioni)  ricorda la differenza tra la parola “verità” per la civiltà che chiamiamo Occidente (a-letheia in greco, veritas in latino), che indica qualcosa che “c’è” e che deve dunque essere “svelato”; e la parola ebraica emet, che intende invece qualcosa che esiste perché “si fa”. - Da una parte la verità è ciò che si scopre, dall'altra ciò che si crea.

Per Leopardi, ogni cosa è un provvisorio e casuale sporgere di vita dal nulla; è dunque vero solo ciò che esiste. Ma, poiché ciò che esiste non è che se stesso e, a differenza di John Belushi nei Blues Brothers, non sta in questo mondo per conto di Dio, la sua verità “è” giusto per il tempo del suo misterioso durare, e, se si vuole, del suo farsi: sempre però come caso particolare del nulla sterminato.

Da qui la morte di ogni domanda. E infatti l’Islandese, col suo ditino alzato a far domande sceme alla Natura, è querulo e comico. Direbbe Flaubert: se è un autoritratto,  è - tanto per cambiare - quello del proprio sempre impellente fallimento.

Avrà allora funzionato, la vita di Leopardi, come i maestri Zen raccomando debba agire il mistero dell’indovinello senza possibilità di pace in una qualche soluzione - il koan - nella mente dell’allievo? L’assillarsi e l’insistere nelle domande impossibili, fino a sfinirsi e arrendersi nell’accettazione della mancanza di risposte? Nel diventare quella cosa silenziosa lì? Ecco, insomma: tutta una strada di dolore e letizia per fare di una Saffo che schifa la primavera un Amelio entusiasta degli uccelli, e perfino una ginestra contenta di impellenti aridissimi crescenti deserti?

 


 

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