Eutanasia
di un uccellino
Nei
Diari della Plath sta
tutto il
dolore , tanto che a
leggerli, in lingua, persino
arricchiti dalla foreword
di Ted Hughes, sembra
sempre di violare un confine, di mettere maldestramente le mani in
un nido di pensieri implumi.
Alle
pagine 247-248 Sylvia
cade anch’essa dal nido e racconta di un uccellino, di
come lei e Ted si liberarono di
un uccellino ferito. “…Suffering
is tyrannous… I could not look and cried and cried…”.
L’avevano
trovato vicino al un albero del parco, ferito ad una zampetta.
Per una settimana lo curarono
finché il lamento sempre più flebile e l’impotenza di
fronte al coraggio e alla dolcezza dell’uccello condusse Ted
a togliergli la vita con il gas. Premonizione fin troppo
sinistra.
Ecco
come la Plath descrive la compostezza della morte dopo la breve
lotta della creatura avvinghiata alla vita : “…
Cinque minuti dopo Ted me lo portò,
composto, perfetto e bello nella morte. Camminammo
nell’oscurità blu del parco di notte, sollevammo una delle
pietre druide, scavammo una piccola buca nel cratere del sasso,
seppellimmo l’uccellino e rimettemmo la pietra. Lasciammo felci
e una lucciola verde sulla tomba, sentimmo la pietra rotolare sul
cuore…”
(Mercoledì, 9 luglio).