“Le
cornacchie affermano che una sola cornacchia potrebbe
distruggere il cielo. Questo è indubbio, ma non prova nulla
contro il cielo, poiché i cieli significano appunto:
impossibilità di cornacchie” (Aforisma
di Zürau
n. 32).
Che
è l’opposto di quanto invece supponga Giobbe che retoricamente
chiede: “Chi
prepara al corvo il pasto quando i suoi nati gridano a Dio e
vagano spinti dalla fame?” (Gb., 38, 41). Gesù,
più didattico, ripete e chiarisce: “Osservate i corvi: non
seminano né mietono; non hanno dispensa né granaio eppure Dio li
nutre. Quanto più gli uccelli valete voi” (Lc., 12,
24).
Se
Kafka, scrivendo l'aforisma, aveva avuto presente la Bibbia, siamo
di fronte a un caso tipico - come tanti aforismi di Oscar Wilde e
di Karl Kraus - di capovolgimento del detto comune. Sappiamo del
resto che i testi amano seguire strade e trovare incroci di cui l’autore
non è tenuto a sapere alcunché.
Continaundo
a essere impertinenti: è probabile che la glossa migliore a queste righe misteriose sia il
quadro più famoso e disperato di Van Gogh: corvi
come crepe nere che feriscono il cielo e il grano, annunci di un
oltre buio e abissale che presto dilagherà sul resto del cielo e
del grano.
Mai ci sarà dato tanto.
Strisciamo
allora nella tana del dizionario, per imparare almeno che
cornacchia in tedesco è
Krähe, nome, come del resto in italiano, dai suoni mimetici e
sarcastici. Mentre in ceco, come si sa, cornacchia è proprio kavka... Questo sottotraccia bilingue farà
definitivamente dell’aforisma un autoritratto?
Intanto: “Le cornacchie affermano...”
Poiché
parlano, le cornacchie sono un popolo da favola. Ma chi scrive non
è Esopo ma la cornacchia Kafka: si
potrà pensare allora al popolo dei topi di Josefine
la cantante ovvero il popolo
dei topi:? – Il coro dei
topi di Josefine
si sente popolo
in quanto escluso ed opposto al canto della vecchia topolina: voce
così flebile da farsi quasi solo mentale, assordante per suo
stesso acutissimo difetto di voce.
I
topi verso Josefine, e le cornacchie verso il cielo, hanno dunque
un tono minaccioso, cospiratorio, rancoroso e al tempo stesso
inane. - Più paradossali e teologiche dei topi, le
cornacchie “affermano” di essere tutto ciò che il cielo,
vulnerabile e sarcastico, non può permettere che siano.
Dunque?
A
proposito di teologia, tra gli aforismi di Zürau, ce n’è uno
che sottintende forse la stessa superbia esatta delle cornacchie.
Dice: “Se fosse stato possibile costruire la torre di Babele
senza scalarla, sarebbe stato concesso”(n. 18). Qui
mancano i soggetti, che però sembrano facili: anche qui, c’è
un popolo a cui sarebbe concesso (dallo stesso cielo che sovrasta
le cornacchie?) di cospirare contro il cielo. Come per le
cornacchie, purché l'attentato di Babele si fermi da
sé
a un
pelo dal suo trionfo, tutto è ammesso: è ammessa la torre che
tocchi il cielo, ma come cattedrale deserta, monumento alla
possibilità e alla rinuncia...
Raggiungere
un poter
essere
che
rinunci
ad essere è dunque la via? Come nell’aforisma in cui Kafka
immagina Alessandro Magno che - nonostante sia
Alessandro Magno - non
varca l’Ellesponto (n. 39)?
Ma
si legga soprattutto la tautologia del
n. 58: “Si mente il meno possibile soltanto se si
mente il meno possibile, non se si ha il minimo possibile di
occasioni per farlo.”
Non
vale non mentire se non quando si può mentire, così come non
vale nessuna fedeltà se non quando si può tradire: ora, poiché
le cornacchie solo “affermano”
è possibile persino pensare che questo sia un aforisma sulla santità
delle cornacchie!...
Ipotesi
quasi finale: l’aforisma
ci regala una delle tante varianti di Kafka per un’etica
sempre più cristallina della rinuncia, e cioè della purezza?
...Come quando, altro aforisma, Kafka scrive: “nella lotta tra
te e il mondo asseconda il mondo” (n. 52)?
O come quando scrive di quella “perfetta possibilità di
felicità” che consiste nel “credere all’indistruttibile in
noi e non aspirare a raggiungerlo” (n. 69)?... Tutte
figure che ricordano tanto Simone Weil quando scrive che,
se la salvezza per lei fosse stata posta a portata sul suo tavolo,
ma senza il permesso
di prenderla, lei non avrebbe steso la mano (Attesa
di Dio)...
Ma
questa è una mistica, sgorgata dal silenzio dell’attenzione,
mentre le cornacchie, come l’Islandese davanti a una
Natura pigra ma pur sempre terrigna e tremenda, “affermano”...
- Affermano cose terribili e vere – la distruzione del cielo!
– ma senza conseguenze, incastrate giusto nell’istante in cui
si prepara ad essere l’inevitabile che pur non sarà... il che
potrebbe spiegare perché il cielo, vulnerabile e onnipotente,
lasci che le cornacchie siano: anche se solo come cornacchie che
“affermano”...
Glossa
che rimette tutto in gioco: forse
“Dio” non è così sottile da apprezzare la finezza cavillosa
degli scrupoli etici, i quali rischiano di non essere altro che un
hybris
alla rovescia. Nella sua
enciclopedia di impossibilia,
Kafka appresta la casistica completa della sorte riservata all'uomo che
non si oppone, già nel dickensiano fanciullo di America...
anche se soprattutto viene in mente l’uomo di campagna fermo
sulla soglia luminosa del suo
paradiso nell’apologo atroce posto al centro del Processo;
e lo stesso Joseph K., che potendo in qualunque istante fuggire -
su questo confida il tribunale? - non fugge.
Come
insegnò il Buddha, dunque, non c’è una possibile tecnica
della salvezza: nessun fare è di per sé un fare giusto. E su
questa faccenda non c’è che da restare frementi e sospesi.
Intanto,
quanto alle cornacchie, il sospetto che prende forma è che del
loro disastro faccia parte essenziale proprio il fatto che
“affermano”: con parole evidentemente non magiche, perché
magia – scrive sempre Kafka - è proprio la venuta della
“parola giusta” che sa chiamare a sé la vita - il cielo? -
docilmente.
E
subito si scivola in un altro paradosso: perché proprio
l’ultimo bellissimo aforisma di Zürau dice che solo “silenzio
e solitudine” hanno la forza di smascherare il mondo, di farlo
torcere “estasiato” verso di noi (n. 109): sembra di
leggere Meister Eckhardt... anche qui la ricerca di una
parola perfettamente muta: la più illeggibile e la più aperta
sulla voragine laconica del “Cielo”...
(Ma
il cielo che si piegherà sulla mia parola magica sarà lo stesso,
o il contrario, di quando “una gabbia andò a cercare un
uccello” (n. 16)?)