"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero Numero 8, luglio 2004                        


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. 

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

L'Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi 

 


 

 

18. Olivier Messiaen

 

 


 

“Si cominciò a capire la natura quando non la si capì più: quando si capì

 che essa era l'altra parte, indifferente, incapace di accoglierci.”

 R.M. Rilke, Del paesaggio e altri scritti.

 

   

 

A dispetto di Guglielmo d’Alvernia che voleva privare i cieli degli angeli, “stati superiori dell’essere” (Guénon), l’Eterno continua irresolubilmente a manifestarsi nell’alito di vento, che gli uccelli, loro fratelli mortali, fendono in volo. Quel canto è musica di più alte sfere, celesti appunto: impulso gratuito, come vibrato nell’istante inevitabile della rivelazione. Non è dunque un caso che la Tradizione ebraica attribuisca i propri Libri Sapienziali a una gherusia di pennuti che ne dettò il contenuto a Salomone; né che l'Islam tanto abbia in gloria la lingua alata, esoterica e iniziatica, lembo dorato del caritatevole Splendore. Del resto anche tra di noi, celti e cristiani, Sigfrid e Colombano assumono il carattere di eroe e santo -almeno secondo il genio categorico di san Gregorio Magno- anche perché, senza sapere come, d’un tratto possono tradurre simultaneamente il cip cip.

 

 

Ma si sa, il dio è nelle piccole cose, nel grano della senape come nel diamante d’una mola (mon cher Monsieur Baruch), e non ci è dato distinguerlo dalla Natura. Sicché è a essa che occorre accostarsi, come un convitato alle nozze metafisiche. 

Scriveva Messiaen: 

"Per me l’unica autentica musica è sempre esistita nei rumori della natura. Il suono armonioso del vento negli alberi, il ritmo delle onde marine, il timbro delle gocce di pioggia, dei rami spezzati, dell’urtarsi delle pietre, dei vari gridi di animali costituiscono per me la vera musica” (Antoine Goléa, Rencontres avec Olivier Messiaen, 1961)

Studiarla musicalmente dunque, quale fonte primigenia del suono, e dispiegarne la trama ritmica, che è vibrare esatto dei suoi strumenti. Nondimeno mai scadere nel trastullio giocoso delle onomatopee, dei birignao, e nella vecchia fattoria-ia-ia? 

 

 

Messiaen suonava l’organo alla Santa Trinità di Paris; lo amava, quell’organo, se ne sarebbe separato solo in punta di spada, siccome un cantore Sahel del suo liuto. E – amorosa coincidenza – a metà Settecento si usava proprio un organo, con certo meccanismo a carillon, per insegnare motivetti leziosi ai cardellini da boudoir. Messiaen studiava musiche primitive, raccoglieva i repertori introvabili di Curt Sachs e Marius Schneider, frequentava anche ritmiche indù e cinesi, il modale, l’atonale, e mai avrebbe trascurato di scendere dabbasso, all’angolo della strada, dal macellaio di quartiere, casomai gli riuscisse di carpire i segreti della cesura metrica (macellaio nell’etimologia è magheiros, lo scalcatore-metricista greco).

Sopra tutto amava gli uccelli, “maestri massimi”, e sull’esempio di Clement Janequin e Athanasius Kircher ne trascriveva devotamente il canto. Trasse così un corpus sontuoso, dal Catalogue d'oiseaux e La Merle noire per piano e flauto, sino agli Oiseaux exotiques, e al Réveil des Oiseaux, opera, questa, composta per i gaddiani centoventi professori d’orchestra, con tanto di xilofoni e celesta…sicché via libera a trilli, tremoli, glissati, volate eccellentissime e cadute a picco.

 

 

"Ho un buon rimedio contro la stanchezza: appena ascolto il canto di un uccello eccomi guarito. Non patisco più il freddo né il caldo né la fame: ascolto l'uccello.” 

(Messiaen, Musique et couleur. Nouveaux entretiens avec Claude Samuel,1986)

 


 

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