“Le cose per se stesse non sono
piccole. Il mondo non è una piccola cosa, anzi vastissima e
massimamente rispetto all’uomo. Anche l’organizzazione de’ più
minuti e invisibili animaluzzi è una gran cosa. La verità della natura
solamente in questa terra è infinita; che diremo poi degli altri
infiniti mondi? Sicché per una parte si può dire che non la grandezza
delle cose, ma anzi la loro nullità, così evidente e sensibile
all’uomo, è una pura illusione. Ma basta che l’uomo abbia veduto la
misura di una cosa, ancorché smisurata, basta che sia giunto a
conoscerne le parti o a congetturarle secondo le regole della ragione;
quella cosa immediatamente gli par piccolissima, gli diviene
insufficiente, ed egli ne rimane scontentissimo (...).
Perciò la matematica la quale misura quando il piacer nostro non vuol
misura, definisce e circoscrive quando il piacer nostro non vuol confini
(sieno pure vastissimi, anzi sia pur vinta l’immaginazione dalla verità),
analizza quando il piacer nostro non vuole analisi nè cognizione intima
ed esatta della cosa piacevole (quando anche questa cognizione non
riveli nessun difetto nella cosa, anzi ce la faccia giudicare più
perfetta di quello che credevamo, come accade nell’esame delle opere
di genio, che scoprendo tutte le bellezze le fa sparire), la matematica
dico, dev’esser necessariamente l’opposto del piacere”
(Zib. 246-8).