"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8, luglio 2004

 


 

Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi

 

 

4.  Godere come un cane

 


“Vedesi (...) nei cani che se non sono turbati o forzati a muoversi, passano volentierissimo le ore intiere, sdraiati con gran placidezza e serenità di atti e di viso, sulle loro zampe.” (Zib. 4180-81).

PRETE: ...mi chiedo se il sapere della morte, l’attraversamento del deserto che c’è in Leopardi non sia costantemente in rapporto con una tensione verso la vita, verso la leggerezza, verso la liberazione del pensiero dal suo affanno: è quel che si chiama spensieratezza. C’è un fiore nel deserto. E c’è la parola deserto, il suo suono, il suo silenzio. Qui c’è un rapporto con il disincanto, e c’è anche una separatezza, un distacco. E un sogno. Il poeta non può cancellare il sogno: “Forse s’avess’io l’ale”...

NATOLI:  E’ vero, il sapere della morte non esclude la spensieratezza, ma bisogna abbandonarsi alla natura senza pretendere, come i cani pigri sdraiati al sole, per ore. Fusi con la natura, indolenti e placati.

PRETE: Questa immagine dei cani, sdraiati per ore, è molto bella. “Con atteggiamento sereno”, mi sembra dica Leopardi.

NATOLI: Sì, senza l’impazienza di volere essere troppo.

 

(A. PRETE e S. NATOLI, Dialogo su Leopardi)


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