“Vedesi
(...) nei cani che se non sono turbati o forzati a muoversi, passano
volentierissimo le ore intiere, sdraiati con gran placidezza e
serenità di atti e di viso, sulle loro zampe.” (Zib.
4180-81).
PRETE: ...mi chiedo se il sapere della morte,
l’attraversamento del deserto che c’è in Leopardi non sia
costantemente in rapporto con una tensione verso la vita, verso la
leggerezza, verso la liberazione del pensiero dal suo affanno: è quel
che si chiama spensieratezza. C’è un fiore nel deserto. E c’è la
parola deserto, il suo suono, il suo silenzio. Qui c’è un rapporto
con il disincanto, e c’è anche una separatezza, un distacco. E un
sogno. Il poeta non può cancellare il sogno: “Forse
s’avess’io l’ale”...
NATOLI: E’
vero, il sapere della morte non esclude la spensieratezza, ma bisogna
abbandonarsi alla natura senza pretendere, come i cani pigri sdraiati
al sole, per ore. Fusi con la natura, indolenti e placati.
PRETE: Questa
immagine dei cani, sdraiati per ore, è molto bella. “Con
atteggiamento sereno”, mi sembra dica Leopardi.
NATOLI: Sì,
senza l’impazienza di volere essere troppo.
(A. PRETE e S. NATOLI, Dialogo su Leopardi)