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Fondamenta degli incurabili di Iosif Brodskij
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Brodskij |
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Дни расплетают тряпочку, сотканную Тобою.[1] Она скукоживается [2] на глазах, под рукою. Зеленая нитка, следом за голубою, становится серой, коричневой, никакою. Уж и краешек вроде виден того батиста.[3] Ни один живописец не напишет конец аллеи. Знать, от стирки платье невесты быстрей садится да и тело не делается белее. То ли сыр пересох, то ли дыханье сперло.[4] Либо: птица в профиль ворона, а сердцем — кенарь. Но простая лиса, перегрызая горло, не разбирает, где кровь, где тенор.
[1] Тряпочка, cencio, straccetto, abituccio; сотканную, tessuto. Porfirio, commentando un passo dell’Odissea, scrive che le Ninfe tessono (yphàinusin) le membra, manti purpurei, su telai di pietra, le ossa, per le anime dei nascituri. (De Antro Nympharum). [2] Incrocio di скукожиться, rannicchiarsi, restringersi (ma la radice è скука, noia) e жить, vivere. [3] La stessa immagine in J. Donne (Satira 4, 30-34) [4] Allusione alla favola della volpe e il corvo - solo che qui la volpe è простая, semplice, nella sua naturale ferocia, mentre il corvo-canarino è comunque spacciato, canti o no. |
Disfano, i giorni, il cencio da Te fatto: Si stringe a vista d’occhio, sotto mano. La verde trama è presto diventata Celeste, grigia, e poi marrone, stinta. E ai bordi è lisa, come di batista. Mai i pittori descrivono la fine Del viale. A quanto pare si ritira, A lavarlo, il vestito della sposa, E anche il corpo non si fa più bianco. Sia che secchi il formaggio, o manchi il fiato. Ossia: l’uccello è un corvo, di profilo, Ma in cuore è un canarino. E’ che la volpe, Quando l’azzanna, semplice, alla gola, Non sta a badare se è sangue o tenore.
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VIII e ultima delle Strofe veneziane (2) |
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Я пишу эти строки, сидя на белом стуле под открытым небомб зимной, в одном пиджаке, поддав, раздвигая скулы фразами на родном, Стинет кофе, Плещет лагуна, сотней мелких бликов тусклый зрачок казня за стремленье запомнить этот пейзаж, способный обойтись без меня. 1982
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Questi versi li scrivo mentre siedo d’inverno, in sola giacca, all’aria aperta, sbronzo, e facendo smorfie con gli zigomi alle native frasi. [1] Fredda il caffé. Sciaborda la laguna, tormentando coi suoi cento riverberi la pupilla fiaccata dallo sforzo di filmare un paesaggio che può fare anche a meno di me.[1] Come il bambino alle elementari, l’esule fa sforzo a scrivere la natia lingua.
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Ed ecco la traduzione di G. Buttafava (I. BRODSKIJ, Poesie, Adelphi 1986):
Io scrivo questi versi, seduto su una sedia bianca, a cielo aperto, d'inverno, in giacca, ebbro, e pronuncio frasi che allargano gli zigomi nella lingua che è mia. E intanto nella tazza si raffredda il caffè. Sciaborda la laguna e tormenta con cento minimi sprazzi lo sguardo intorbidito dall'ansia di fissare questo paesaggio capace di fare a meno di me.
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