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Fondamenta degli incurabili di Iosif Brodskij
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Blok |
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Грешить бесстыдно, непробудно
Грешить бесстыдно, непробудно, счет потерять ночам и дням, и, с головой от хмеля трудной, пройти сторонкой в божнй храм.
Три раза преклониться долу, семь – осенить себя крестом, тайком к заплеванному полу горячим рпикосиуться лбом,
Кладя в тарелку грошик медный, три, да еще семь раз подряд поцеловать столетний, бедний и зацелованний оклад.
А, воротясь домой, обмерить на тот же грош кого-нибудь, и рса голодново от двери, икнув, ногою отпихнуть.
И под лампадой у иконы пить чай, отщелкивая счет, потом переслюнить купоны, пузатый отворив комод,
и на перины пуховые в тяжелом завалитсья сне... – Да, и такой, моя Россия, ты всех краев дороже мне. |
Peccare senza tregua, né vergogna
Peccare senza tregua, né vergogna, Senza contare i giorni né le notti, E col cerchio alla testa dalla sbornia Cacciarsi nella casa del Signore. Inchinarsi tre volte fino a terra, E sette - farsi il segno della croce, Sfiorare di nascosto il pavimento Pieno di sputi, con la fronte ardente,
E messo là un soldino d’elemosina, Baciare prima tre, poi sette volte, La povera cornice dell’icona Consumata da secoli di baci.
Poi, sulla via di casa, raggirare Qualcuno per rifarsi del soldino, E scacciare a pedate, fra i singhiozzi, Il randagio affamato dalla porta. Bere, sotto il lumino dell’icona, Il tè, schioccando col pallottoliere, E aperto poi il panciuto cassettone, Ricontarci i biglietti, insalivandoli;
E sopra l’imbottita d’un piumaccio Stramazzare nel sonno più profondo; Sì, Russia mia, anche così tu sei Il paese per me più caro al mondo.
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Незнакомка
По вечерам над ресторанами горячий воздух дик и глух, и правит окриками пьяными весенний и тлетворный дух. [1]
Вдали, над пылью переулочной, над скукой загородных дач, чуть золотится крендель булочной, [2] и раздается детский плач.
И каждый вечер, за шлагбаумами, заламывая котелки, среди канав гуляют с дамами испытанные остряки.
Над озером скрипят уключины, и раздается женский визг, а в небе, ко всему приученный, бессмысленно кривится диск.
И каждыи вечер друг единственный в моем стакане отражен и благой терпкой и таинственной, как я, смирен и оглушен.
А рялом у соседних столиков лакеи сщнние торчят, и пяницы с глазамн кроликов «In vino veritas!» кричят.
И каждый вечер, в час назначенный, (иль это только снится мие?) девичий стан, шелками схваченныый, в туманном движется окне.
И медленно, пройдя меж пьяными, всегда без спутников, одна, дыша духамн и туманами, она садится у окна.
И веют древними поверьями [3] ее упруглие шелка, и шляпа с траурными перьямн, и в кольцак уская рука.
И странной блнзостью закованный, смотрю за темиую вуаль, и вижу берег очарованный и очарованную даль.
Глухие тайны мие поручены, мие чье-то солнце вручено, [4] и всей души моей излучины пронзило терпкое вино.
И перья страуса склоненные в моем качаются мозгу, и очи синие бездонные цветут на дальнем берегу.
В моей душе лежит сокровище, и ключ поручен только мне! Ты право, пьяное чудовище! Я знаю: истина в вине. [5]
24 апреля 1906, Озерки [1] Siamo a Ozerki (I Laghetti) località di villeggiatura alla periferia di San Pietroburgo, lungo la ferrovia per la Finlandia. [2] Krendel’ è propriamente ‘ciambella’. Una ciambella dorata era l’insegna tipica dei fornai pietroburghesi. [3] Pover’jami, è la parola-chiave della poesia: oltre che ‘credenza’ – come viene generalmente tradotto – nell’’800 il termine valeva anche ‘confidenza’ (crf. poverit’, confidare): del poeta bambino con abiti, anelli, cappelli, velette, profumi – tutto l’armamentario, insomma, del mondo materno, e, più in generale, femminile. I genitori di Blok si separarono dopo due anni di matrimonio, quando Aleksandr non era ancora nato, e il poeta passò l’infanzia e l’adolescenza circondato da sole donne (la mamma, la nonna e due zie materne) – e dalla nera assenza del padre – fra Pietroburgo e la tenuta di Shahmàtovo, presso Mosca, il cui giardino, pieno di fiori e d’alberi, digradante verso un grande stagno, con l’argine e il bosco sullo sfondo, è richiamato in questa come in molte altre poesie di Blok. Parafrasando il titolo d’una famosa raccolta del 1901, quasi tutta l’opera del poeta potrebbe essere raccolta sotto quello di Stihi o Prekrasnoj Mame, Versi sulla Bellissima Mamma. [4] Ch’e-to è aggettivo possessivo indefinito: né mio, né tuo, né suo: di qualcun altro. Vrucheno è, etimologicamente, ‘messo in mano’. Il sole estraneo (il sole nero degli psicologi) è l’incapacità affettiva: sole e cuore in russo fanno pariglia (Serdce – solnce otchizny moej! canta l’Ahmatova, che di capacità affettiva n’aveva da vendere). [5] I ‘cupi segreti’ e il ‘sole altrui’ evocati dalla ragazza sono un tesoro (anzi, l’unico, ed esclusivo, tesoro d’una ‘povera vita senza spiegazione’ – come dirà altrove Blok) portato alla coscienza (‘ora lo so!’) dal vino: solvente d’angoscie e inibizioni da sempre cantato dai poeti (solo Khayyam ci va più di fino, quando dice che ‘sobrio, la gioia m’è nascosta; ubriaco, sparisce la coscienza; ma c’è un momento, fra sobrietà ed ebbrezza: per quello darei tutto, quello sì che è vita!’ Quartina 230). Certo, l’importanza di Blok, capostipite e riferimento d’una poetica della “lacerazione” che, attraverso Esenin, Mandel’stam, Cvetaeva, arriva fini ai giorni nostri (Brodskij) non può essere limitata alla pura e semplice elaborazione di fatti personali, alla disamina del ‘proprio incubo notturno’, né alle infatuazioni, ai misticismi, alle passioni ‘non vissute’: importante, in Blok, è non tanto ciò che viene detto, ma come viene detto. E’ difficile trovare – cito a memoria il Mirskij – dei versi che meglio rispondano al precetto verlainiano “de la musique avant toute chose”: più che all’eleganza della sintassi (che può apparire monotona, ripetitiva: una ventina sono qui le frasi coordinate con la congiunzione e) Blok bada al colore delle consonanti, all’armonia delle vocali, al potere evocativo delle parole, al respiro del verso. ‘Alessandro, cigno puro’, lo chiamerà l’Ahmatova, ben a ragione. Per questo il pensiero, e il sentimento, di Blok è sempre traducibile, ma la forma mai. |
La sconosciuta
Tutte le sere sopra i ristoranti c’è un’aria sorda, torrida e selvaggia, e soprintende ai gridi degli ubriachi l’anima guasta della primavera.
Lontano, sulla polvere dei vicoli, sull’uggia delle ville suburbane, brilla appena l’insegna d’un fornaio, e riecheggia il pianto d’un bambino.
E ogni sera, dietro le transenne, con il tubino sulle ventitré, passeggiano tra i borri con le dame gli esperti, spiritosi habitués.
Scricchiolano gli scalmi sopra il lago, e risuona lo strillo di qualcuna, mentre in cielo s’incurva, avvezzo a tutto, stupidamente il disco della luna.
E ogni sera l’unico mio amico, riflesso dallo stesso mio bicchiere, è come me stordito e sottomesso da quel liquido asprigno e misterioso.
D’intorno, accanto ai tavoli vicini, assonnati lacché stanno impalati, e avventori dagli occhi di coniglio gridano «In vino veritas!» ubriachi.
E ogni sera, all’ora consueta, nella nebbia che appanna la finestra, si muove (o è solo un sogno?) una figura di fanciulla fasciata nella seta.
Lentamente, passando fra gli ubriachi, sempre senza compagni, sempre sola, in una scia di nebbie e di profumi si va a sedere accanto alla finestra.
E sprigionano antiche confidenze quelle sue vesti elastiche di seta, il cappellino con le piume a lutto, e la mano sottile, inanellata.
Avvinto dalla strana vicinanza, guardo attraverso la veletta e vedo una riva incantata e un’incantata lontananza affacciarsi oltre quel velo.
Cupi segreti mi son confidati, mi si dà un sole, non so di chi sia, e l’aspro vino intanto ha penetrato tutti i meandri dell’anima mia.
Molli piume di struzzo reclinate ondeggiano qua e là nel mio cervello, e occhi d’un azzurro senza fine fioriscono su quella riva arcana.
Giace nella mia anima un tesoro, la cui chiave – soltanto io ce l’ho! Hai detto bene tu, mostro ubriaco! La verità è nel vino: ora lo so.
24 Aprile 1906, Ozerki
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