“...e
il linguaggio – questo lo sapevo già – ha una dinamica sua
propria ed è portato specialmente in poesia, a usare i suoi
meccanismi autogeneranti: metri e strofe, che conducono il poeta
ben oltre la sua destinazione originaria.” (Fuga da Bisanzio)
“...la
tua mano è solo strumento - non di te, di un altro...”
(Marina
Cvetaeva)
Che
volgarità da circo - o da TV? - la “vita come opera d'arte”
, che frivolezza occidentale
quella di dare il genio alla vita e all'arte appena il talento!
Praticamente riducendosi ad essere il press-agent del lato volgare di se
stesso: se si avesse veramente genio, sarebbe uno spreco imperdonabile,
per il quale varrebbe la raccomandazione che si sentì fare da giovane
l'amletico fisico dell'atomica, Oppenheimer:
“se arrivi solo primo, sarai un fallito”.
E
dunque, privato di quella cosa futile che è una biografia, il poeta si
ritrova - selva più oscura del peccato? luce d'alba madre di ogni bene?
- pura obbedienza al linguaggio, il quale è
“la storia stessa”
(O. MANDEL'STAM, Sulla poesia).
Per vedere “non tanto ciò che
il tempo fa all’uomo ma ciò che il linguaggio fa al tempo.” (Fuga
da Bisanzio)
Da
Dante a Valery, è sempre il riconoscimento del medesimo: “Chi
scrive una poesia la scrive perché la lingua gli suggerisce o
semplicemente gli detta il verso seguente. (…) spesso il pensiero lo
porta più in là di quanto lui si immaginasse: ed è il momento in cui
il futuro della lingua interviene nel proprio presente e lo invade” (Profilo
di Clio).
E
il resto al maligno delle solite vite-disastro (Fuga
da Bisanzio, p. 39)!