Le
Venezie di Paul Morand
di
Gabriella Alu
Ogni
esistenza è una lettera imbucata anonimamente; la mia reca tre
timbri: Parigi, Londra, Venezia; la sorte mi ha fissato là,
spesso a mia insaputa, ma certo non alla leggera.
Venezia
riassume nel suo spazio ristretto la mia durata sulla terra,
situata anch'essa nel vuoto, tra le acque fetali e quelle dello
Stige.
Io
mi sento disincantato da tutto il pianeta, salvo che da Venezia,
salvo che da San Marco, moschea il cui pavimento inclinato e
rigonfio assomiglia a tappeti di preghiera sovrapposti
(...)
“È
dopo la pioggia che bisogna vedere Venezia”, ripeteva
Whistler: è dopo la vita che io torno a rivedere me stesso.
(...) Le rughe dell'acqua si cancellano, le mie, no.
(Paul
Morand, Venises,Gallimard,
1971).
Così
Paul Morand, ormai anziano, scrive nella prima pagina del suo "Venises"
in cui scorrono sessantanni e più di un'unione senza nubi.
Venezia fu sempre fedele a lui, e lui a Venezia.
Come
Brodskij, Morand torna a Venezia tutte le volte che gli è
possibile ed in questo libro -- bilancio della propria vita
dall'infanzia alla vecchiaia -- egli intreccia i mutamenti
avvenuti nella propria storia personale ai mutamenti della città;
Venezia è, per lui, onnipresente: persino “in esilio”
in Inghilterra, egli cerca e crede di ritrovare la Serenissima
nella "little
Venice" londinese.
“Venezie”...plurale
singolare.
"Venises"
non è, infatti, il ritratto di una città ma quello di un uomo
che si riflette nei mille volti di una città. Come per Brodskij
l'acqua dei canali: “il motivo per cui mi
ingegno a filtrarla è che contiene tanti riflessi, tra i quali il
mio” (Fondamenta
degli Incurabili).
Libro
di viaggi, diario intimo, racconto autobiografico ma soprattuto reverie
in cui il fascino degli antichi palazzi si intreccia alla
descrizione della rivalità tra gondolieri e vaporetti ma anche a
quella del mondo dei francesi a Venezia ed alla evocazione di
altre Venezie: quelle di Casanova, di Jean Cocteau, Giraoudux,
Proust...
I
canali di Venezia sono neri come l'inchiostro; è l'inchiostro
di Jean-Jacques, di Chateaubriand, di Barrès, di Proust, scrive
Paul Morand, in uno dei più bei libri che Venezia abbia
ispirati, datato soltanto per i riferimenti letterari. Uno
scrittore più moderno avrebbe parlato dell'inchiostro di Thomas
Mann che, esasperando temi già cari a Barrès e a Proust, ha
definitivamente fissato Venezia nell'immagine di una città
morta, votata ai fasti del crepuscolo e della decadenza.
(Dominique
Fernandez Le promeneur amoureux, de Venise à Syracuse,
Plon, 1980; ed. it. Il viaggiatore amoroso, Rizzoli
Editore, 1982)
“È
più facile cominciare che finire”: è questo il
titolo dell'ultimo capitolo in cui, descrivendo lo sprofondare di
Venezia nell'acqua, Paul Morand accosta la lenta morte della città
tanto amata alla propria morte avvertita ormai come prossima
(morirà infatti nel 1976) e che concluderà “questo
lungo accidente che è stata la mia vita”.