John
Ruskin e la morte di Venezia
di
Gabriella Alu
Venezia,
6 maggio 1841.
Grazie
a Dio sono qui! È il paradiso delle città, e una luna
sufficiente a fare impazzire metà dei savî della terra batte con
i suoi puri sprazzi di luce sull'acqua grigia davanti alla
finestra; e io sono più felice di quanto sia mai stato in questi
cinque anni --- felice davvero --- felice come in tutta probabilità
non sarò mai più in vita mia. Mi sento fresco e giovane quando
il mio piede posa su queste calli, e i contorni di San Marco mi
entusiasmano (....) Grazie a Dio sono qui!
(John Ruskin, "Diario Italiano 1840 - 1841",
trad. dall'inglese di Hilia Brinis, Mursia, 1992).
Quando
scrive queste righe, Ruskin ha ventun anni, è in Italia con i
genitori per curarsi: gli è stata diagnosticata la tubercolosi.
Anche per Ruskin, così come per tanti altri artisti, una malattia
sta all'origine di un viaggio che marchierà una intera esistenza.
L'amore
travolgente per Venezia legherà Ruskin per tutta la vita alla città
lagunare elevata, in seguito, a simbolo delle sue teorie non solo
estetiche ma anche politico-religiose.
L'incipit
di uno dei suoi libri più importanti e famosi suona come elegiaca
dichiarazione d'amore di un uomo che per tutta la vita si trovò più
a suo agio tra le pietre che tra gli esseri umani:
Venezia,
simile a Tiro per perfezione di bellezza, ma inferiore per durata
di dominio, giace ancora dinanzi ai nostri sguardi come era nel
periodo finale della sua decadenza: un fantasma sulle sabbie del
mare, così debole, così silenziosa, così spoglia di tutto
all'infuori della sua bellezza, che qualche volta ammiriamo il suo
languido riflesso nella laguna, rimaniamo incerti quale sia la
Città e quale l'ombra. Io vorrei sforzarmi di tracciare le linee
di questa immagine, prima che scompaia per sempre e di
raccogliere, per quanto posso, il monito che si sprigiona da ogni
onda che risuona come un rintocco funebre, quando si frange contro
le pietre di Venezia.
(John
Ruskin, "Le pietre di Venezia", a cura di John D.
Rosemberg, Biblioteca Universale Rizzoli, 1990)
Se
“"malattia” e
“morte” sono immagini che vengono
con grande frequenza evocate da artisti, scrittori, musicisti, poeti
a proposito di Venezia, il Ruskin della piena maturità artistica ed
intellettuale ("Stones
of Venice"
fu pubblicato nel 1852), il grande cantore dell'arte gotica, dirà
chiaro e tondo che Venezia è già morta, perchè “uccisa” dalla
“nefasta arte del
Rinascimento”, e proprio perchè Venezia “divenne
uno dei focolari del Rinascimento (...) ; l'originalità dei palazzi
di Venezia e di Vicenza (...) dettero all'architettura del
Rinascimento il predominio agli occhi di tutta l'Europa e la città
morente, meravigliosa nella sua dissipazione, piena di grazia nella
sua follia, ottenne un culto più profondo nella decrepitezza che
nella sua gioventù gloriosa e cadde nel sepolcro accompagnata da un
corteo di ammiratori”.