…un
orto turrito di frutti di mare…
Per
bagaglio soltanto lo stupore del Fanciullo Eterno, e sempre con sé,
nel tascapane, la serietà rapita del bambino che s'appresti al
gioco: così viaggiava Mario Praz, e sin da giovanissimo. Da
quando -citatore potente- s’aggirava mai smarrito tra le selve
degli schedari, duellando spesso col demone della Perfezione,
superciliosissimo… Ma anche scorrazzando en plein air, in
bicicletta per l’Italia, en attendant i berensoniani “orari
ferroviari” della pittura rinascimentale, nondimeno già avvezzo
alla tassonomia più rigorosa: registrare le corrispondenze tra
gli afrori della campagna polverosa e i paesaggi pittorici
sbuffati a sfondo delle predelle d’altare. Epperò sarà
oltre-Manica, ai tempi dell'insegnamento inglese, sarà lì che a
dispetto dei patimenti inflitti dal cielo albionio verrà
instillato il proprio personalissimo “Sentimento
dell’Italia”: vaga rincorsa d'una patria artistica
trasognata…
Ne
scaturiranno pagine che sono raffinato corredo del Viaggiatore
Incantato, cosmogonia di suoni e odori, schizzi, bozzetti e
minuzie d'un Italia “luminosa e colorata”, da Grand Tour. Come
un inglese dunque, Praz alla scoperta l’Italia, e rigorosamente
senza Baedeker sotto il braccio!, pronto semmai a gettarsi nel
precipizio, oltre la pagina, là dove la vita ribolle... E
guardando ogni cosa, annotando tutto: la conformazione delle città,
i panni stesi, le bellezze indigene… Un Paesaggio visionario, ma
nient'affatto velato dalla filigrana delle parole, occhio mai
tradito da lenti che smussino i toni cedendo alla pastorelleria più
sdolcinata: Gogol, e non Lamartine.
Perché in fondo, differentemente dai fratelli Goncourt, Praz ama
follemente la Natura, e soprattutto al di fuori dei
quadri…
Lo
si troverà, dunque, incoronato re Laurino sul Gernetto; in
spiaggia, panama bianco e tasche colme di sassolini goethiani; o
magari all’Elba, contemplando il colore cangiante delle pietre
napoleoniche… Predilige il Paesaggio pittoresco Praz, quello che
secondi devotamente i canoni di Fuseli, meglio poi se sottilmente
legato a elementi dal contrasto “a effetto”: la Luce e il
Silenzio evocati dalla scuola pussiniana (Et in Arcadia Ego?), e
subito dietro l'angolo, in agguato, la bizzarria più chiassosa.
Proprio come in Washington Irving: le rovine maestose, a un tempo
sepolcri d'aura antica e tana di briganti alla macchia...
Sicché,
alla maniera del più morbido dei filosofi, Lorenzo Magalotti, Il
Professore accosterà anche Venezia dal coté più pregnante e
meno frequentato: la città odorosa.
“Non
è il ruvido odore dell'oceano, che sa di rimescolamento di
fondi, di melma e naufragio, odore minaccioso di elemento ostile
all'uomo, ma un odore a parte -s'intende nelle giornate serene-
aggentilito, leggero e femmineo, quasi che Venezia lo donasse
dai suoi pori come una bella creatura sana. Fa l'intimità di
Venezia quest'odore[...] Quest'odore ti accompagna a Venezia,
tiene bordone a tutte le sue fantasticherie, è l'imponderabile
giunta che converte la tua contemplazione in esaltazione. Come
quando in un appartamento antico e tranquillo, se a un tratto
cessi di chioccolare la fontana del cortile, ti pare che
l'incanto sia rotto, perché quel chiocciolio che quasi non
avvertivi tanto c'eri avvezzo, era proprio l'elemento essenziale
della magia del silenzio.”
(Mario
Praz, Odore di Venezia, Il Mondo che ho visto, vol.
II, Sansoni).