...la
marquise Casati ne plaisait pas. Elle étonnait.
(Jean
Cocteau)
Villa
a Cinisello Balsamo, casino di caccia a Gallarate, un castello a
Cusago, poteva mai Coré la megalomane secondare una vita tanto
ordinaria? Tanto più se condotta al fianco di quel tristo Camillo
Casati, così asservito alle consolazioni di mammà e del ratafià...
Del resto, con degli arcani come i suoi: un padre magnate della
finanza milanese e
cotonifici a reddito, come non divenire l'anamorfosi astrale delle
eroine più dannunziane? Già da bambina, vezzata alla malevola più
preraffaellita; signorinella, indigestioni di Simonette Vespucci,
Ginevre Sforza e Caterine Riario... Lucia Amman sarebbe mai finita a
far sogni dolicocefali e biondi come una qualunque sartina o mondina
d'Italia... Molto meglio vagare all'alba in caorlina damascata a
lutto greco, in bianco,
a superbo sberleffo d'ogni possibile circolare
comunal-circoscrizionale (leges contra l'extravaganza)... e magari
sbrecciare la noia delle notti lagunari raccogliendo alghe a
Cannaregio - soltanto quelle dai colori più pivialeschi! - con al
palo l'immobile compagnia d'un remiero disposto a soddisfare
qualsivoglia ghiribizzo marchesano, finanche abbigliarsi alla
maniera settecentista, con tanto di papalina leopardata in capo.
A
Venezia la Casati giunse nel millenovecentodieci, e da quel momento
fu tutta una "parade" di feste mascherate et flamboyantes,
serragli di fiere in giardino, pranzi gotici con aristocratici alla
deriva e automi di cera, scrigni delle ceneri di amori tra-passati;
ricevimenti a Palazzo dei Leoni con ai capi della tavola due
marchese Casati, immobili, l'una doppelgaenger di paraffina, l'altra
ancora più sconcertante, così astratta nella trappa della propria
artificiosità: l'autentica Coré. (D'Annunzio beffato ne trasse le
selve per Figure de Cire)
…e
molte orchestrine gracchianti sincopi dell'era pre-jazz, pizzi,
piume, boa costrictor, ombrelli di pavone, pavoni meccanici, il
pappagallo Ba-cadabrà color dell'Ineffabile, e tanti ospiti
sconosciuti, cupidissimi di polvere bianca, che è cara e rara, ma
tanto riposano in cantina riserve di “acetilene di
mitilene”...
Un
moro enorme, forse un dogon alla Riefensthal -Garbi- nudo come la
verità, le torce in mano a rischiarare la padronale sua luce:
Luisa: gli occhi bistrati, ciprie bianchissime, cadaveriche e
alabastrine, serpentesche volute di gemme Lalique avvolte al collo
caduceo, spesso vestita di solo profumo, al limite giusto
ingualdrappata in una stola tinta da Mariano Fortuny… Disporre di
piazza san Marco quale privatissima salle à danser, ingaggiare a
tal scopo legioni di schiavi nubiani in seta scarlatta, ché
s'allineino benino benino a cordone sanitario, e muoia invidiosa la
pazza folla... Passeggiare nottetempo per le calli, fasciata di sola
ferinità, sorta di Venus im Pelz senza opinabili Sacher-Masoch al
guinzaglio; molto più safari, se con due giaguari, o un levriere,
gli imbarazzanti turchesi del casato a mo' di collare...
Incoronata
icona del tempo, ritratta e scolpita da tutti: Boldini, Van Dongen,
Alberto Martini, Balla; finanche inchiodata nelle bare di collodio
di Man Ray, doppiamente veggente; avvolta nella decrepitudine
vizzita da Cecil Beaton, perfetta per le mises di Bakst, Erté e
Poiret, la Casati scelse Venezia a Quinta dello Scandalo perché
sola terra definitivamente naufragata nelle secche dello Sprofondo,
unico orizzonte italico dove il Tramonto è un Sun Ton, sole che
cade, s'accascia nella morte quieta, stoica, e trova lì, nella
penombra, nelle ombre, la propria redenzione: “la liberazione
dal proprio regno che col suo potere imprigiona esso stesso.”
(Maria Zambrano).