Le
parole e le pietre: la Venezia di Marcel Proust
di
Gabriella Alu
C'è
una Venezia fatta di pietre, ma ce n'è un'altra fatta di parole.
Con Proust, si va continuamente dall'una all'altra.
Per
molto tempo, Proust ha sognato e desiderato Venezia, città
inafferrabile e proibita.
È Ruskin che ve lo conduce: l'amore di Proust per la Serenissima
comincia infatti dalla scoperta di Stones
of Venice
che egli tradurrà in francese malgrado la sua quasi nulla
conoscenza dell'inglese.
Per
quanto però possa sembrare strano, non tenta mai di andare a
Venezia durante il primo anno dedicato alla traduzione di Ruskin:
ci andrà solo dopo la morte di questi.
D'altra
parte, il modo in cui Proust riesce a trovare mille modi per
sottrarsi ad un viaggio che pure desidera è inesauribile fonte di
comicità, ed i pretesti che inventa fanno tornare in mente il
tipico telegramma di scuse del duca di Guermantes: “Impossibile venire, segue bugia”
(Il
tempo ritrovato).
Ruskin
amato, ma in seguito rinnegato: è infatti la “rivolta”
contro Ruskin, contro quel peccato che Proust denuncerà ben
presto come "idolatria" e di cui accusa lo stesso Ruskin
che gli permette di giungere, alla fine, ad una trasfigurazione
della città di porfido e di marmo nel gioiello che svela la
chiave del Tempo Perduto.
All'inizio
c'è la reverie:
nella Recherche
il viaggio nella Venezia dei Giorgione, dei Tiziano e dei
Carpaccio, nel più completo museo dell'architettura gotica è
sognato fin dall'infanzia; Venezia sarà però anche, in seguito,
universo di fantasticate occasioni erotiche e di tutto ciò che è
inafferrabile e sconosciuto: per questo, non ci condurrà mai
Albertine.
Il
Narratore non ci andrà che verso la fine, quando è ormai
prossimo il momento in cui avverrà la scoperta di ciò che ha
permesso a Proust di crearla.
Nella
Recherche,
Venezia figura tra le quattro città evocate nelle prime pagine
dell'opera e indicate come quelle in cui la vita del Narratore si
è svolta: Combray, Balbec, Parigi e Venezia.
Si
va continuamente da una Venezia fantasticata ad una Venezia reale,
da quella delle parole a quella delle pietre, in un continuo gioco
di specchi, scatole cinesi, rimandi e inversioni (inversioni!),
perchè la Venezia reale è un sogno di cui la Venezia scritta sarà
la verità, perchè le parole sono le pietre delle quali le città
sono costituite.
Ma
perchè sia davvero possibile trovare Venezia, occorre prima
perderla: Venezia sarà finalmente ritrovata a Parigi, nelle
ultime pagine de Il
Tempo ritrovato, sul
selciato del cortile di palazzo Guermantes, quando il Narratore
esita con “un piede su una lastra più alta, l'altro piede su
quella più in bassa”.
Inquietudine,
dubbio, paura della morte scompaiono non appena dal selciato di
palazzo Guermantes risorgono le pietre del battistero di San
Marco: il tempo è finalmente ritrovato.
Ogni
inquietudine riguardo al futuro, ogni dubbio intellettuale erano
dissipati. Quelli che mi tormentavano un attimo prima a
proposito della realtà stessa della letteratura erano spariti
come per incanto (...) era Venezia, di cui i miei sforzi per
descriverla e le sedicenti istantanee scattate dalla mia memoria
non m'avevano mai detto niente e che la stessa sensazione
provata un tempo su due lastre ineguali del battistero di San
Marco m'aveva restituita assieme a tutte le altre sensazioni
collegate quel giorno ad essa e rimaste in attesa al loro posto,
da cui un'improvvisa combinazione le aveva fatte uscire, nella
schiera dei giorni dimenticati.
(Il
tempo ritrovato, trad. di G. Raboni, Meridiani
Mondadori)
Il
percorso di formazione del Narratore ci ha portato da Combray a
Venezia: l'opera letteraria ci (ri) condurrà da Venezia a
Combray.
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per Marcel Proust, vai al www.marcelproust.it
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