NUMERO 6

Otto poesie d'amore di J. Donne

tradotte da C. Campo 

e P. Valduga

 

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F. Hoelderlin

 

 

U. Eco

 

M. Heidegger

 

W. Benjamin

 

Del tradurre: e se...

E se la traduzione fosse davvero traduzione-della-lettera, del testo in quanto lettera? Avrebbe allora ragione da vendere Hoelderlin: "Ma il Padre/ che tutti governa/ ama sopra ogni cosa/ si curi la ferma lettera". Altro che negoziazione col testo con la scusa di salvaguardare l’Eco di cromatismi ed Esperienze di Traduzione!  Quello è “un processo in base al quale, per ottenere qualcosa, si rinuncia a qualcosa d'altro (U. Eco, Dire quasi la stessa cosa).

Bisogna farsi tradurre (ai ceppi, ai Piombi al Sancto Ufizio?), siccome la Tsetaieva spiegava nella sua corrispondenza: “Oggi ho voglia che Rilke parli attraverso di me. [...] Io faccio passare Rilke nella lingua russa, proprio come lui un giorno mi farà passare nell'altro mondo.” Un trapasso. Ovvero un’esperienza, fare un’esperienza, come nel caso del “fare un malattia, passare attraverso, soffrire da cima a fondo, sopportare accogliere ciò che ci raggiunge sottomettendoci a lui...” (M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio). E poi, solo l’anonimato.

 L'essenza ultima e definitiva della traduzione è dunque la Lettera. Alain (ah, Simone Weil!) è in tal senso davvero spiazzante (Propos de literature) per lucida nettezza: “Ho questa idea, che si possa sempre tradurre un poeta, inglese, latino, o greco, esattamente parola per parola, senza niente aggiungere, e conservandone anche l'ordine, tanto che infine si troverà il metro e persino la rima. Io raramente ho spinto la prova fino a questo punto; ci vuole tempo, dico mesi, e una cara pazienza. Si arriva dapprincipio a una sorta di mosaico barbaro; i frammenti sono mal giunti; il cemento li assembla ma non li accorda punto. Resta la forza, il fulgore, persino una violenza, e probabilmente più di quanta ci vorrebbe. È più inglese dell'inglese, più greco del greco, più latino del latino…”.

 Poco importa allora, se il testo sarà accusato di servilismo per la finitima aderenza all’originale, magari oscuro per non aver ceduto alla voglia del chiarimento poetico, in fondo “…nessuna poesia è rivolta al lettore, nessun quadro allo spettatore, nessuna sinfonia all'ascoltatore” (W. Benjamin, Il compito del traduttore).

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La Cucina di Babele

Campo e Valduga traducono

The Good-morrow

(clicca sulla figura)

 

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