Del
tradurre: e se...
E
se la traduzione fosse davvero traduzione-della-lettera,
del testo in quanto lettera? Avrebbe allora ragione da vendere
Hoelderlin: "Ma
il Padre/ che tutti governa/ ama sopra ogni cosa/ si curi la ferma
lettera". Altro che negoziazione
col testo con la scusa di salvaguardare l’Eco di cromatismi ed
Esperienze di Traduzione! Quello è “un processo in base al quale, per ottenere
qualcosa, si rinuncia a qualcosa d'altro”
(U. Eco, Dire
quasi la stessa cosa).
Bisogna
farsi tradurre (ai ceppi, ai Piombi al Sancto Ufizio?), siccome la Tsetaieva
spiegava nella sua corrispondenza: “Oggi ho voglia che Rilke parli
attraverso di me. [...] Io faccio passare Rilke nella lingua russa,
proprio come lui un giorno mi farà passare nell'altro mondo.” Un
trapasso. Ovvero un’esperienza, fare un’esperienza, come nel caso
del “fare un malattia, passare attraverso, soffrire da cima a fondo,
sopportare accogliere ciò che ci raggiunge sottomettendoci a
lui...” (M. Heidegger, In
cammino verso il linguaggio).
E poi, solo l’anonimato.
L'essenza
ultima e definitiva della traduzione è dunque la Lettera.
Alain (ah, Simone Weil!) è in tal senso davvero spiazzante (Propos
de literature) per lucida
nettezza: “Ho questa idea, che si possa sempre tradurre un poeta,
inglese, latino, o greco, esattamente parola per parola, senza niente
aggiungere, e conservandone anche l'ordine, tanto che infine si troverà
il metro e persino la rima. Io raramente ho spinto la prova fino a
questo punto; ci vuole tempo, dico mesi, e una cara pazienza. Si
arriva dapprincipio a una sorta di mosaico barbaro; i frammenti sono
mal giunti; il cemento li assembla ma non li accorda punto. Resta la
forza, il fulgore, persino una violenza, e probabilmente più di
quanta ci vorrebbe. È più inglese dell'inglese, più greco del
greco, più latino del latino…”.
Poco
importa allora, se il testo sarà accusato di servilismo per la
finitima aderenza all’originale, magari oscuro per non aver ceduto
alla voglia del chiarimento poetico, in fondo “…nessuna poesia è
rivolta al lettore, nessun quadro allo spettatore, nessuna sinfonia
all'ascoltatore” (W. Benjamin, Il
compito del traduttore).
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