"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 6, dicembre 2003

 


John Donne: otto poesie d'amore tradotte da Cristina Campo e Patrizia Valduga

 

9.  Senso anagogico

 

 


"Il senso anagogico [...] conduce dalle cose visibili a quelle invisibili; l'anagogia è dunque l'espressione di un senso che conduce alle cose alte o alla Chiesa, in altre parole alla Trinità e agli ordini degli Angeli" (Dell'Anagogia, capo duodecimo, Libro primo). 

 

A Santa Maria sopra Minerva, giusto accanto al sorprendente affresco Carraffa di Filippo Lippi, pesa, dimenticato persino dalle fuliggini, un monumento funebre, cenotafio dalla posa ieratica e silenziosa, issato forse un po' troppo in alto perché l'occhio nostro di flaneurs se ne possa accorgere. È la Tomba solenne e maestosa (siccome avrebbe usato scolpire Bregno nel Quattrocento), la tomba dedicata a Guglielmo Durando vescovo di Mende, già professore emerito a Bologna e Modena, cappellano di papa Clemente IV e monsignor castellano nei pressi di Urbania. Uomo tutt'altro che dugentesco, dall'erudizione sproporzionata e insospettabile per i proteiformi interessi, a dispetto invece d'uno stile rettorico tutt'affatto severo, scevro di fallacie ornamentali.

 

Homo unius libris, e non nel senso tomistico, più semplicemente perché autore d'una sola opera memorabile, e senz'altro monumentale: il Rationale Divinorum Officiorum, summa di tutte le conoscenze e tradizioni religiose medievali; trattato che ci apprende l'arte di trasfondere ogni gesto della liturgia in estasi e meditazione; "l'ultima parola del Medioevo sulla mistica del culto divino", secondo scrisse il benedettino Barthelémy, suo primo traduttore ottocentesco:

  

"Tutte le cose che appartengono agli uffici, agli usi o agli ornamenti della chiesa sono piene di figure divine e di mistero, e ognuna, in particolare, trabocca di una dolcezza celeste, quando nondimeno incontri un uomo che le esamini con attenzione e amore, e che sappia trarre il miele dalla pietra e l'olio dalla più dura roccia" (Dalla prefazione all'edizione dell'anno 1284).

 

Dunque, una questione di sguardi.

 

"Chi abbia consuetudine con la propria intimità scorge le aure nel mondo esterno, chi si ignora, chi non abbia mai avuto un sogno fatidico, può passare accanto ad esse e neanche voltarsi" (Elémire Zolla, Aure, 1981). Ma già ne Le potenze dell'anima, un saggio Bompiani apparso nel Sessantotto, si trovava annotato: "L'avvio corporale alla vita metafisica è invece soprattutto col rito, che in gesti abiti, canti oggetti canonici e specialmente in ritmi, che mediano tra corpo e psiche, simboleggia le intuizioni metafisiche. [...] "quella che sembra, al profano, trasognatezza è invero apatia, cassa di risonanza in cui si purifica e risuona l'intelligenza degli archetipi."

 

La partecipazione smarrita e corporea, estatica e raziocinante ai riti: un accostarsi alla contemplazione dei quindici archetipi del destino cristiano, finalmente la fervorosa quiete della pietra.


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