John
          Donne. Poesie Amorose, Poesie teologiche, a cura di Cristina Campo (Einaudi)
           
           "Loe
          here a little volume, but large booke": eccovi un piccolo volume
          ma un gran libro: le parole che iniziano la poesia di Richard Crashaw
          su un libro di preghiere inviato a Mrs M.R. potrebbero applicarsi a
          questa scelta di poesie di John Donne curate da Cristina Campo, che
          nell'introduzione ha saputo tracciare il più ispirato ritratto di
          Donne che ci abbiano dato gli interpreti moderni, e non è dir poco,
          ché dalla seconda decade fino a tempi recenti, non 
          v'è si può dire ingegno sottile e profondo che nel mondo
          anglosassone, ed anche oltre i suoi confini, non abbia voluto dire la
          sua sul poeta, sublime e sconcertante che, rivoluzionando gli schemi
          tradizionali della lettaratura inglese, è sorto a un tratto
          dall'ombra per collocarsi poco lontano dallo stesso Shakespeare.
          C'è
          chi come L. Murtz (The Poetry of Meditation) ha visto in lui un
          rampollo dell'eloquenza sacra continentale, e chi, come D.L. Gress (J.D.
          Petrarchist) l'ha voluto addestrato alla scuola concettistica di
          Serafino Aquilano, né manca chi, come Hunt, ha cercato di
          demitizzarlo e sminuirlo. Cristina Campo s'è
          accostata a Donne con una squisita intuizione poetica, come quella che
          animava Walter Pater allorché parlava di Botticelli o di Watteau o
          del Fanciullo nella Casa.
          Invero
          le battute iniziali della sua introduzione fan pensare a quest'ultimo
          saggio di Pater. E come del Pater si suol dire che poteva errare nel
          dettaglio, ma era attendibile nell'insieme (il caso della Scuola di
          Giorgione), così si potrà eccepire alla Campo di non aver tenuto
          abbastanza conto di componimenti come la Satira III, e di certa
          disponibilità giovanile del Donne e della sua accettazione della
          carriera ecclesiastica dapprima come pis aller per le sue ambizioni
          sbagliate di cortigiano, ma bisognerà riconoscere con lei che tutta
          la vita del poeta fu "un tirare sulla catena di quella
          terrificante eredità di memorie e di pegni (la tradizione cattolica
          della sua famiglia), un precipitarvi sopra non appena la catena si
          allenti." Ottima la versione e il commento.
          Mario
          Praz