Farò
della mia mente la femmina della mia anima,
della
mia anima il padre, e i due produrranno
una
generazione di pensieri che ne genereranno
altri,
e questi stessi pensieri popoleranno
questo
piccolo mondo di uomini diversi
come
la gente di questo mondo.
Così
Shakespeare nel Riccardo II (atto
V, sc. 5, trad. di A. Lombardo, Newton Compton 1999), il quale “è
ricco di ironie sintattiche e metaforiche, e Shakespeare sembra
volerci mettere in difficoltà di fronte a ogni frase pronunciata dai
personaggi del dramma. Almeno da questo punto di vista, l’opera è
un preludio ad Amleto. (…). Quando nell’atto V, Riccardo
comincia ad assomigliare a una parodia prolettica di Amleto,
diffidiamo più che mai del re, ma ci accorgiamo anche che il
protagonista tenta di abbagliarci sin
dall’atto III, scena ii, anche se con uno splendore
esclusivamente verbale. Da quel momento in avanti, le iperboli di
Riccardo sono così complesse che a volte mi domando se Shakespeare
avesse letto alcune delle poesie giovanili di Donne…” (H.
BLOOM, Shakespeare, Rizzoli).