What’s
Wit on a Wet Witol?
"Il
Buon Senso gli fu padre; poi sposò una Lady del ramo suo, una
collaterale, certa Mirth, che da noi si conosce col nome di Humour,
allegria..." - Ecco la genealogia, un po' mitica un po'
scherzosa, di Wit, idea concettosa che tanto infervorava i pomeriggi
del tè.
The
Spectator, 11 maggio 1711,
ma già prima The
Tatler: Illuminismus,
redde rationem.
Addison
e Steele e la fuga dai fronzoli: via tutti gli ammennicoli e le
meringhe à
garniture! La poesia
arguta può essere soltanto severa e austera! Lungi da lei il False
Wit che abbonda in "anagrams,
chronograms, lipograms, and acrostics", e solo può produrre
"puns, quibbles, poems, or sometimes whole sentences".
E poi così fuorviante, così poderosamente macilenta, troppo
spesso tendente all'accozzaglia mal assortita di parole, con quel
tipico effetto di fuoco d'artificio esangue.
Tutt'altra
faccenda il True Wit:
argutezza sincera, fidecomesso esatto di idee polite come
alabastrine schegge di Palmira, ottimo per un ritorno alle sentenze
e agli epigrammi, cari i miei Catulli, Persii e Giovenali...
Insomma, Addison e Steele già a braccetto con Kraus e Karr, Lec e
Lem.
Ma
del resto l’”Uomo gazza” John Aubrey, nelle sue biografie
spicciole, non aveva già manifestato la propria ammirata devozione
a Marziale, sommo maestro del sarcastico tratto?