"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 6, dicembre 2003

 


John Donne: otto poesie d'amore tradotte da Cristina Campo e Patrizia Valduga

 

5.  Un altro (altero) libertino

 

 


 

 Essere o non essere…

(W. Shakespeare, Amleto, atto III, sc…)

 

Abitarsi come un caos fittiziamente regolato, e signorilmente: forse non c’è che da arrivare a questo. Alla fine, morta ogni possibile tragicità, nasce leggero un sorriso per chi non può neppure più nascere. Da lì, da lì dentro, da dentro un nirvana tale e quale a un limbo, una voce che passa “mildly away” (J. DONNE, A Valediction: forbidding mourning): flatus voci che stempera abile e dimentica ogni possibile nodo dell’ex-ex-istere: non c’è nostalgia di Dio, dell’Uno fittizio, non c’è Senso se non per giocarci: eccolo, quando tutto ciò è scontato, un libertino. 

Si può sospettare che John Donne (che leggi alla rovescia e diventa – un altro! - don John…) del libertino avesse tutto: compresa la finale carriera in ventre matris ecclesiae (una qualunque: certo...).

 

E’ la quintessenza della gloria libertina godere della capacità di porre questioni nel modo più esattamente irrisolvibile:  “Donne ci presenta tutta una serie di alternative in contrasto l’una con l’altra, e il significato della poesia sta appunto nel fatto che tali alternative siano in contrasto, e che non venga operata scelta alcuna” (così nel commento di Tillyard a Love Infinitenesse), “che è poi la dinamica messa per primo in scena da Petrarca”, glossa giustissimamente Melchiori, che di suo lo chiama “libertino ed ascetico, opportunista e nemico del compromesso con la propria coscienza, terrorizzato e affascinato dalla morte” (Introduzione a Poesie e Anatomia del Mondo, Mondatori, p. XLI).

 

Ancora un passo fuori del laccio ormai funereo e sofistico della  re-ligio (e certo: una qualunque) che nulla più "lega", e ci vorrà un Kierkegaard per ribloccarci nella sacra angoscia che non conosce orpelli.


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