Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 5, ottobre 2003 |
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Le traduzioni: Manganelli, Vittorini, Gallone |
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NUMERO 5 Interviste impossibili di G. Manganelli
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GIORGIO MANGANELLI (Einaudi)
Per un intero giorno, caliginoso, taciturno e spento, un giorno autunnale, greve di basse nuvole, avevo proceduto, solo, a cavallo, per una campagna sommamente tetra; e, con le ombre lunghe della sera, ero giunto, alla fine, in vista della malinconica Casa degli Usher. Non appena scorsi l'edificio, mi invase l'anima un sentimento di intollerabili tenebre, di cui non potrei dar ragione. Intollerabili, dico; poiché non medicava il sentimento nessuno di quegli affetti, cattivanti perché poetici, con cui la mente per solito accoglie le piú crude immagini del terribile e della desolazione. Contemplavo il luogo: quella casa, il nudo disegno del paesaggio, le mura spoglie, le aggrovigliate càrici, i radi, decidui tronchi; e pativo uno sfinimento dell'anima, che non posso paragonare a nessuna sensazione terrestre, se non al ridestarsi dell'oppiomane dal fasto dei suoi sogni: il tristo precipizio nella vita quotidiana, l'orrore del velo che cade. Era gelido il cuore, affranto, infermo; tetra, sconsolata meditazione, che nessuna sevizia dell'immaginazione poteva adizzare al sentimento del sublime. Che mai dunque - sostai a meditare - che mai dunque a tal punto mi stremava mentre contemplavo la Casa degli Usher? Insolubile mistero...
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ELIO VITTORINI (Mondadori)
Per tutta una fosca giornata, oscura e sorda, d'autunno, col cielo greve e basso di nuvole, avendo cavalcato da solo traverso a una campagna singolarmente lugubre fino a che mi trovai, mentre già cadeva l'ombra della sera, in vista della malinconica casa degli Usher. non so come, ma appena l'ebbi guardata una sensazione d'insopportabile tristezza mi prese l'anima. Insopportabile, dico, già che non le si univa il sentimento poetico e perciòl quasi piacevole che accompagna in genere le immagini naturali anche quando siano le più cope della desolazione e del terrore. Guardavo la scena che mi stava davanti: e lo spettacolo della casa e del paesaggio all'intorno, le fredde mura, le finestre come vuote orbite, i radi filari di giunghi e alcuni bianchi tronchi rinsecchiti, mi davano un avvilimento così estremo che potei paragonarlo soltanto allo stato del mangiatore d'oppio durante l'amaro ritorno alla realtà quotidiana, l'orribile momento in cui il velo dilegua. Era un gelo nel cuore; e una oppressione, un malessere, e nella mente un invincibile orrore, che la rendeva inerte ad ogni stimolo della fantasia. Che cosa, dunque, mi soffermai a pensare, rendeva tanto penosa la contemplazione della casa degli usher? Ma rimaneva un mistero insolubile...
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MARIA GALLONE (Rizzoli) Durante un giorno triste, cupo, senza suono, verso il finire dell'anno, un giorno in cui le nubi pendevano opprimentemente basse nei cieli, io avevo attraversato solo, a cavallo, un tratto di regione singolarmente desolato, finché ero venuto a trovarmi, mente già si addensavano le ombre della sera, in prossimità della malinconica casa degli Usher. non so come fu, ma al primo sguardo ch'io diedi all'edificio, un senso intollerabile di abbattimento invase il mio spirito. Dico intollerabile poiché questo mio stato d'animo non era alleviato per nulla da quel sentimento che per essere poetico è semipiacevole, grazie al quale la mente accoglie di solito anche le più tetre immagini naturali dello sconsolato e del terribile. Contemplai la scena che mi si stendeva dinanzi la casa, l'aspetto della tenuta, i muri squallidi, le finestre simili a occhiaie vuote, i pochi giunchi maleolenti, alcuni bianchi tronchi d'albero ricoperti di muffa; contemplai ogni cosa con tale depressione d'animo ch'io non saprei paragonarla ad alcuna sensazione terrestre se non al risveglio del fumatore d'oppio, l'amaro ritorno alla vita quotidiana, il pauroso squarciarsi del velo. Sentivo attorno a me una freddezza , uno scoramento, una nausea, un'invincibile stanchezza di pensiero che nessun pungolo dell'immaginazione avrebbe saputo affinare ed esaltara in alcunché di sublime. Che cos'era, mi soffermai a riflettere, che cos'era che tanto mi immalinconinva nella contemplazione della Casa degli Usher? Era un mistero del tutto insolubile...
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Chi volesse provarsi, ci mandi il suo "tradimento": sarà pubblicato in questa pagina.
MARTA OCCHINI Per l’intero giorno, un cupo giorno autunnale triste ed afono, gravato da nubi basse, avevo traversato, solo, a cavallo, una campagna del tutto desolata finché, all’adombrante ora vespertina, mi trovai in prossimità della malinconica casa degli Usher. Non saprei dire come ma all’immediata apparizione della casa, una desolazione insostenibile mi trafisse. Insostenibile poiché quello stato d’animo non era attutito dal pur vago piacere, perché poetico, col quale i nostri sensi solgono accogliere le più crude immagini della desolazione e del terribile. Lo sguardo indugiava sulla scena : la casa, le nude fatture del paesaggio, i muri squallidi, le finestre come occhi svuotati, le cespitose carici, i brandelli di corteccia di piante morte. Soffrivo un tale patimento paragonabile solo al sogno infranto dell’oppiomane dopo l’euforia dei suoi paradisiaci deliri : il volo amaro verso la realtà, il velo pietoso che scivola via, tragicamente. Era gelido e malandato il cuore, calante in agonia, per gli aridi pensieri non redenti che nessuna sferzata dell’immaginario poteva volgere al sublime. Cosa mai dunque – sostai a riflettere – cosa mai talmente mi devastava alla vista della casa degli Usher? Mistero fitto.
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