"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 5 ottobre 2003 

 

  diari di lettura


 

 

NUMERO 5

Le interviste

impossibili

di:

Giorgio Manganelli

 

 

il libro

l'autore

figure

costellazioni

scrivere

 tradire&tradurre

  la matta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alfredo Giuliani:

Questo Faust claunesco

 

Affascinato dalle iperipotesi manganellesche, avanzia anch’io un’ipotesi per godermela meglio: di trovarmi davanti a un Faust posticcio, esilarato del popolo immaginario baratto con la Storia. Alla Storia (con la S maiuscola) questo Faust claunesco ha rifilato volentieri (o ha fatto finta di rifilare) i tomi di Tragedie Complete dell’umanità, e in cambio ne ha ottenuto l’uso perpetuo l’uso perpetuo e devoto di un solo volumetto; di cui ho immaginato il seguente titolo: Chiavi della Retorica per Aprire Infiniti Mondi Cerimoniali.

(ALFREDO GIULIANI, Giorgio Manganelli teologo burlone, in Le foglie messaggere, a cura di V. Papetti, Editori Riuniti).

 


 

 Emanuele Trevi:

Disertore! (A proposito di Laboriose Inezie)

C’era, al centro di quel libro, una vera e propria stroncatura (proveniva, figuriamoci, da un numero dell’”Espresso”) della Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis. Lasciaci in pace, vecchio pedante moralista, diceva in sostanza Manganelli. Se ha ancora un senso leggere stagionati e polverosi libri italiani, non è certo in base alle tue padelline di civica educazione. Quell’Aretino, per esempio, che tu non volevi vedere in mano a una signora, avresti fatto bene a leggerlo con più attenzione… E così via. Per molti di noi, Laboriose inezie fu un invito alla diserzione (“noi ce ne andiamo”, scriveva Manganelli in chiusura del pezzo su De Sanctis), che in termini intellettuali significa: usare la propria testa, non avere rispetto né del prestigio, né dei “titoli”, né della vecchiaia di nessuno.

(E. TREVI, 1990-2000: tentativo di descrizione di un’eredità, in Le foglie messaggere, a cura di V. Papetti, Editori Riuniti).


 Lietta Manganelli:

Quando si comincia a scrivere

“Dopo la morte del nonno i miei genitori si separarono anche di fatto. Mio padre si trasferì a Roma dove cercò faticosamente di rimettere insieme i pezzi della sua vita.

Mia madre rimase a Milano con la suocera fino a quando quest’ultima non si trasferì a Torino presso il figlio maggiore.

Per anni fra mio padre e sua madre regnò il silenzio, poi lentamente mio padre, ormai in analisi da tempo, ricominciò a scrivere al fratello e di conseguenza alla madre. Si erano reciprocamente delusi e non si perdonarono mai. Anche se formalmente avevano ripreso i rapporti non ci fu mai tra di loro un vero dialogo.

Credo che sia significativo il fatto che mio padre riuscisse a pubblicare il suo primo libro solo dopo la morte della madre; quella madre che, per sua stessa drammatica e disperata ammissione, era morta “senza soffrire quanto poteva”.

(Lietta (Amelia) MANGANELLI, La mia famiglia, in Le foglie messaggere, a cura di V. Papetti, Editori Riuniti).


 

Enzo Golino:

La sindrome!

“A furia di trangugiare ad ogni pagina l’artificio del paradosso e del rovesciamento, allitterazioni e assonanze, ossimori, e tutti gli “effetti speciali” dell’arte retorica in cui Manganelli eccelle, sono stato colpito da uno sbandamento allucinatorio che vorrei battezzare la “sindrome Manganelli”. Gli occhi s’incrociano, lo sguardo si appanna, il deliquio confonde i sensi, si allentano i freni inibitori: devo combattere la tentazione di credermi Manganelli, o un suo doppio, e di adoperare frasi, avverbi, aggettivi (…) che farciscono la sua prosa. E finalmente capisco che la “sindrome Manganelli” di cui sono preda deriva dalla scomparsa della realtà, dissoltà dal vertice stilistico, dall’arrembante incrocio delle illusioni, dalle pretese onnivore del commentatore, statuario fattofago convitato al banchetto della realtà.

(E. GOLINO, Manganelli: overdose di paradossi, “Millelibri”, agosto 1989).


 

Italo Calvino:

E’ Dio!

Maria Corti, a cui, in quanto fondatrice del Fondo manoscritti dell’università di Pavia, Manganelli regalò tutta la sua biblioteca, ritrovò in una copia di Nuovo Commento una lettera di Italo Calvino, datata Parigi, 7 marzo 1969, il quale aveva letto il manoscritto per Einaudi. La lettera ora si trova in appendice all’edizione Adelphi.

Eccone un brano, che Calvino stesso definisce, anche se in francese, “diario di un lettore”:

“Riassumerò il mio journal d’un lettore in questo modo: si comincia dicendo: ho già capito tutto, un commento a un testo che non c’è, peccato che si capisca il gioco fin da principio, chissà come farà a tenerlo per tante pagine senza nessuna narrazione; poi si scopre che sono le metafore a fare da narrazione, poi, quando già non ce lo si aspetta più si riceve il ghiotto regalo di narrazioni vere e proprie; a un certo punto, attraverso un processo di accumulazione si passa una certa soglia e s’arriva a un’illuminazione improvvisa: ma certo, il testo è Dio e l’universo, come ho fatto a non capirlo prima! Allora si rilegge da principio con la chiave che il testo è l’universo come linguaggio, discorso d’un Dio che non rimanda ad altro significato che alla somma dei significanti, e tutto regge perfettamente”.

(I. CALVINO, Appendice  a G. MANGANELLI, Nuovo commento, Adelphi

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