L’Istat nostra
commoventissima, che incespica e s’imbroglia sul costo del cespo
d’insalata a Pogibonzi, non avrebbe però difficoltà a donarci
tabelle hi-tech per farci notare mille cose sproporzionatamente esatte
sugli intervistati impossibili del Manga: che, ad esempio, tra i dodici,
gli italiani sono ben cinque; e che addirittura sei sono gli scrittori,
anche se tutti invariabilmente bastardi.
Se infatti si tratta di
scrittori pennivendoli, diciamo pure professionisti, sono incistati nel
ghetto torvo e ambiguo della letteratura per l’infanzia (Fedro,
Dickens, De Amicis). Sono quindi per statuto cinici e bugiardissimi:
Dickens ad esempio è uno che “per farvi piangere vi prende a bambini
morti in faccia. E ci riesce.” (Il vescovo e il ciarlatano,
Quiritta 2001).
Se non pennivendoli, si tratta
di scrittori per caso: il quale caso può essere o umano (Marco Polo)
o arcano (Nostradamus). Nell’unico spirito in cui la scrittura
nacque da protoromantica velleità narcisa - Casanova -, gli
esiti furono, come si sa, logorroici e quasi sempre problematici.
Dal campione, come si vede, si ricava, più che una
composta garzantina, un lazzaretto rissoso.