“Che il comunicare coi morti sia impresa difficile a
pensare, paurosa quando pensata, temeraria a intraprendere, spaventevole
intrapresa, e in ogni modo angosciosa…”
(G. MANGANELLI, Sulla difficoltà di comunicare coi morti).
Anche se è già strano che occorra confessarlo ormai così,
come un gioco un po’ turpe, un commercio complice tra clandestini
morbosi, è un fatto che abbiamo sempre parlato coi morti.
Non si sente? Nella Terra di Nessuno della reciproca
perplessità, il viavai è sempre intenso. I sacerdoti del traffico
intermondano (vittime di vocazioni ardue, problematiche come follie)
patiscono il loro per sfoltire siepi d’interferenze, assottigliare il
caos cacofonico delle voci, irreggimentare per canali calmi la piena dei
sussurri… Tutt’un parlarsi, insomma, tra il di Qua e il di Là: come
se mai si avesse avuto tempo in vita per lasciarsi qualche briciola
essenziale.
Manganelli, enciclopedia palpitante di Galatei, sa che la
bisbigliosa ciàcola col Morto è concessa sempre e solo per procedure
allo stesso tempo caute e indefinibili. Sa che i varchi e i canali tra
il nostro labirinto e il loro, per quanto possano aprirsi a sorpresa,
permettono l’accesso solo grazie a ritualità perfino regali: il
dialogo richiede reciproca prudenza: un rispetto forse impossibile degli
spazi, dei tempi, degli scopi. Alla fine tutto sarà costellato da
impalpabili errori.