“Secondo ragione,
dovrei ritenere d’esser morto;
e tuttavia non ho
memoria…” (Dall’inferno)
I morti conoscono pochissimo la
morte.
Come, del resto, i vivi la vita,
sulla quale dice quanto si può Dickens nella seconda intervista: “Non
crederà che in così poco tempo uno si possa fare delle idee molto
chiare, no?”. - Come i vivi, i morti sono figure del nulla, ne sono le
provvisorie casuali varianti: un po’ come quelle particelle
subatomiche che si fa piroettare per un nanosecondo in un sincrotrone:
giusto il tempo d’una foto…
Anche se tendono a non leggere Wittgenstein, i morti però
sanno che non è il caso di infiorettare sopra la loro ignoranza della
morte: in questo sono dunque molto diversi dai vivi che sulla Vita
blaterano dalla mattina alla sera: “Qui il nostro destino terreno
cessa, indugia solo come ricordo. Siamo esentati e inutili.” (Harun
al-Rashid).
Anche la mitica medium Eusapia Paladino, una che dovrebbe
esserne la massima esperta se non altro per consuetudine, si ritrova in
una morte laconica: “Lei non sa che situazione imbarazzante sia per
una medium essere morta”: “Se lei crede che io sapessi qualcosa dei
morti che, a loro dire, mi si accostavano, lei è in errore. Io, furba,
come una contadina, anche se una contadina incapace di tenere in mano la
propria vita, io ero a contatto con qualcosa che dichiarava di essere un
morto… mi capisce?” (Eusapia
Paladino).
Per un solo attimo, infine,
nelle Impossibili balena la più impossibile delle domande: “ma
se muore la morte, che succede?” (Nostradamus).