"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 5 ottobre 2003
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Interviste impossibili di Giorgio Manganelli
13. Le vivemorti |
“Vi era un momento, nel corpo già morto ma non fuggitivo, in cui tutto pareva simulare l’attitudine alla vita; la meravigliosa intelligenza interiore di chi era stolto pareva apparecchiata a continuare indagini di cose vive; pareva idoneo ad amare e generare e ridere, pareva bestia da facezie, ed era cosa impaziente di putridume, già sommessamente colloquiante con Caronte. Ma in quell’istante che separa la separazione del corpo dall’anima dalla separazione dell’anima dalla riviera terrena d’Acheronte, in quel futile ed esile istante, gli uomini delle lame e delle tanaglie indagavano, capivano, commentavano, imparavano. Né volevano contendere quelle viscere alla loro imminente sconsacrazione; giacché la loro brama di scavare, adunca di occhi e di dita, aveva in mente altro: quella cosa simbolica e minacciosa, quella cosa biancastra e imperitura, quella cosa dura e incorruttibile, quella cosa ugualmente incapace di morte e di vita che era l’uomo dell’uomo, la gruccia taciturna a cui stanno appese le viscere tortuose, e la pelle, addobbo sapiente ed elegante. Lo scheletro, stemma incluso e concluso nel corpo, aspettava e non temeva tempo, non cesoie, non denti di coltelli; durissimo, pietroso, acre, e insieme distratto, indifferente, pensoso d’altri, incomprensibili pensieri, forse di nulla pensoso, forse sublime, forse solo uno scherzo ingegnoso e sarcastico chiuso in infiniti strati di carnosa vita; giacché lo scheletro è insieme vita e indifferenza alla vita, è morte ed è più che morte. Uomini di lama e di specillo, gli anatomisti di Padova, guardavano dentro il corpo spalancato se stessi, e temerariamente si riconoscevano” (Salons).
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