Anche se
la Commedia è divina e quindi eterna, mai dire
sempre.
Il tempo
per Dante di imbarcarsi tra l’“anime fortunate tute quante”
alla foce del Tevere per sbarcare in Purgatorio, e già la sua
architettura di tramezzi e paratìe che regola i flussi tra Vivi e
Morti si squaglia: pensate a quel vero centro della letteratura di
sempre che è il Secretum di Petrarca…
Forse
qualcuno è già stato capace di leggere Petrarca come autore di
distillate perfidie? Nel Secretum Francesco
prende Dante, che sempre quasi finse d’ignorare, e come se non fosse
lo ricalca punto per punto ma sempre per rilanciare, in un azzardo
sistematico verso il caos.
A
insinuarla così, la cosa sa di sistematico sberleffo: Dante incontra
un savio non più che infero e pagano come Virgilio? Petrarca il più
grande Santo della cristianità, Agostino d’Ippona, l’autore delle
Confessioni! Già sul terreno tutto dantesco
dell’aristotelico principio d’autorità, si parte con un 6-0 al
primo set...
Dante,
semplice e protervo come tutti i primitivi, naïf tendente al
selvatico e al rude, gotico martellatore in peritura lingua del Sì,
crede che Virgilio sia ciò che dice di essere: un emissario
dell’oltretomba venuto a salvarle, lui infingardo irrimediabile, dal
disastro della vita… Petrarca evoca scenari più sottili e già
definitivamente capziosi: certo, anche lui non dubita che quello sia
sant’Agostino, eppure il dialogo – o sarà un duello? –
s’inscena al cospetto della Verità nuda: già questo bisogno di
reciproca certificazione da parte – si direbbe in questi tempi
giuridicamente disgraziati – “terza” non può non
immalinconire…
Ma
soprattutto: Dante obbedirà all’infero Virgilio quando questi gli
proporrà una via di salvezza da se stesso, mentre Petrarca al
paradisiaco Agostino no.
Ecco
l’inizio d’una tabe catastrofica: il No!, qualche secolo
dopo, di don
Giovanni all’intimazione d’un emissario del Cielo di
“lasciar le donne” ha il suo seme nobile nel Poeta che non lascia,
neppure i cambio di Dio, la donna sua: neppure se è una sola, neppure
se è morta!
Eppure
gli è chiarissimo che Agostino ha ragione, che l’amore per Laura è
un non-senso al quadrato: un’uggia costantemente peccaminosa… Ma
niente da fare: l’infimo Vivo qui già si sottrae al Morto immenso:
sostiene, s’illude, di avere trovato in quell’amor selvoso un
destino più suo. Anchilosato dalla nevrosi, accidioso e puerilmente
superbo, nel Secretum – e nel Canzoniere? – non fa
che dire No! a un Santo: questa torta di No ha al centro
la ciliegina – ma più grande della torta - d’una coltivata
libidine per una morta…