Ero
al liceo. In verità mi divertivo molto, ma anche ricercavo la
strada più giusta per me e per molti altri; certo attraverso
l’ebollizione viscerale dell’adolescenza (pre o post non
importa), ma pure attraverso i sommovimenti politici di un’epoca
molto stimolante (il celebre ’68 e i suoi fondamentali
strascichi). Insomma non stavo mai fermo a studiare i compiti
assegnati, o stupidate del genere, cercavo e volevo di tutto e di più...
E
in mezzo a tutto questo mi sono imbattuto in Kafka. Grande autore
ricco di fantasia, magari un po’ lugubre, ma talmente credibile da
non poter assolutamente passare oltre senza ammirarlo. E poi in
fondo il mondo assurdo che lui descriveva in tanti racconti,
richiamava nella mia mente, in qualche modo, le assurdità che noi
tentavamo di combattere tutti i giorni (ora so che, in un modo o
nell’altro, tutti i ten-ager da sempre lo fanno e pensano di
essere i primi, ma noi allora ci credevamo davvero speciali…).
Così
Kafka. Era, per assurdo, come se fosse diventato una specie di Marx
del costume, un riferimento sicuro per quanto riguardava la feroce
critica al vivere borghese, un nostro amico e compagno, solo
scomparso troppo presto.
Per
di più una mia cara amica di allora mi regalò una copia dei suoi
racconti, con tanto di dedica, che io tenni per anni nel reparto
mentale “in attesa di essere letto”. Ma la politica mi assorbiva
talmente (per non parlare dell’amore e ovviamente dell’esame di
maturità) che alla fine non andai mai oltre al celebre racconto
dello scarafaggione e ad altre due o tre cose lette in classe
(avevamo un professore di lettere davvero speciale). Quello che
lessi attentamente e più volte fu la dedica, ma si sa, a quell’età
si scollano anche i francobolli dalle cartoline per controllare che
dietro non sia celato un misterioso messaggio d’amore inatteso.
Comunque,
un po’ per non averlo mai letto del tutto e un po’ per la sua
folgorante fantasia, ha continuato e continua a stimolarmi a ondate
successive, magari lontane anni, ma sempre piacevoli e sorridenti.
Naturalmente di quel sorriso un po’ scuro che un buon praghese
acquista solo al secondo calice di birra, condito magari da un
panino di porcherie vagamente risalenti al maiale. Un sorriso che
solo chi è stato almeno per una settimana a Praga può conoscere,
ma un sorriso che regala una visione del mondo davvero speciale.