"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 2, gennaio 2003

"L'Amore" di Stendhal - Figure "I Luoghi"


Stampa della fine del '700: il porto e la città di Trieste

 

Trieste

 

1830 : dopo gli anni plumbei di Luigi XVIII e Carlo X – uno dei tanti periodi in cui si dà il trionfo smaccato degli incompetenti -, con le giornate di Luglio, qualcosa accadde. Stendhal non partecipò alla rivoluzione, che pure condivise, ma era certo di avere le carte in regola per ottenere un incarico di prestigio dalla nuova monarchia: fu il consolato a Trieste. Stipendio, 15.000 franchi. Quando lo seppe, fu pazzo di gioia, ma solo perché non immaginava cosa lo aspettasse.

 

Partì il 6 novembre da Parigi anche se non aveva il riconoscimento formale dell’Austria (l’exequatur). Arrivò, il 25,  da terra, e cioè nel modo più bello: a un certo punto la strada tocca il costone dell’altopiano che cade a strapiombo sul mare: lì all’improvviso si apre al viaggiatore la vista del golfo. Scrisse sui margini di un libro: “Veduta strana, cielo nel mare, ad una immensa profondità, a destra, luci. E’ Trieste…” 

 

Anche se italiana per il patriziato, il teatro lirico, l’eleganza dei palazzi, ecc., per lui Trieste era troppo tedesca (e il tedesco era forse più parlato dell’italiano): era burocratica e pensava solo ai soldi: che differenza con un Amburgo qualsiasi? - E poi faceva freddo: giunse alla conclusione che la bora non fosse solo un vento, e cioè qualcosa che può far volare i cappelli, ma una furia gelida che scaraventa in terra le persone e che può romperti un braccio.

Ci rimase quattro mesi per niente. 

Nell’attesa vana dell’exequatur, visse accuratamente ignorato da tutti. Console non riconosciuto, Stendhal cenava da solo e frequentava quasi solo le prostitute. La sua sola altra fedele compagna fu la polizia che lo pedinava e gli leggeva la corrispondenza (cosa che lui sapeva benissimo): così scoprì che il console era un romanziere. Si fece correre la voce in città come una calunnia. 

A Trieste ascoltò per la prima volta Bellini – che non gli fece effetto (una frase interessante: “Come mi interessò tutto ciò nel 1820! Attualmente ho buon gusto cioè una difficoltà a sentire”) – e si infatuò di Caroline Unger: giovane soprano che Beethoven aveva voluto per la Nona, e che, venticinquenne, non trovò interessante la corte di quell’equivoco console di quarantotto.

Oltre che anzianotto, Stendhal era sempre più grasso: al punto da doversi far spedire da Parigi una poltrona speciale – 150 franchi! – da un ebanista che faceva sedie a misura dei sederi dei clienti. 

Intanto, cosa doveva fare un console?

Cose insulse: scrivere relazioni sui carichi di olio pugliese (piaceva agli inglesi) con relative oscillazioni dei prezzi; idem per le granaglie… e poi annotare le entrate e le uscite di navi da guerra, e gli spostamenti di truppe: rondò che non significano niente di eccezionale.

 

 

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