"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 2, gennaio 2003

"L'Amore" di Stendhal - Figure "I Luoghi"


Stampa di inizio dell'800: Porto di Civitavecchia

 

Civitavecchia

 

Ci rimase come Ovidio tra gli Sciti. 

Se Trieste era baltica, Civitavecchia era Africa: luce accecante di un sole eterno, un porto da poco su una costa brulla e banale. La città – 7.500 ab. più 1.000 forzati – era dominata da una colonia penale. Davvero il contrario di Trieste: nessuna “società” in cui farsi accettare e l’aria ferma e morbosa: vi allignava la malaria e il colera: e dire che aveva parlato male di Parigi! 

Ma Stendhal è sempre Stendhal: per cui, questo zero di vita sociale è sempre meglio della feroce baraonda del “progresso”:  sempre meglio una plebe di pescatori e manovali apatica e barbara che l’inferno londinese che incatena un operaio 16 ore al giorno a una macchina: qui non si sapeva ancora niente della “civiltà”, quella cosa inarrestabile che stava riducendo la vita umana a lavoro; si aveva tempo per fare niente e cioè l’amore: ogni sera sente la sua vicina, madre già di sette figli, gridare di piacere nel letto…

 

A parte queste considerazioni filosofiche, la verità è che moriva di noia e che si sentiva caduto in una trappola che avrebbe potuto ucciderlo. 

Non gli restò che divertirsi da sé e con sé, scrivendo: “Ricordi d’egotismo”, “Vita di Henry Brulard”, “Leucen Leuwen”.

Così, proprio a Civitavecchia, Stendhal trovò se stesso e sprofondò nell’impubblicabile: non più operette da spacciare con pseudonimi quasi sempre diversi, ma libri per cercarsi, per capirsi, per parlare di sé a se stesso, scommettendo sulla possibilità di una sincerità totale, nell’ipertrofia senza ritorno della brutta copia…

Era ritornato alla sua prima idea: si scrive per piacere e per sé soli

Quanto alla vita sociale, non c’era che da scappare a Roma

 

 

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