Nietzsche
è stato il primo lettore perfetto di Stendhal: il primo che abbia
saputo giocare il suo stesso gioco. Per
lui, Stendhal, “mente-caos, ma anche mente elegante”, fu la
prova che lo spirito è un lusso,
una grazia, e che questa
grazia è allegra.
In
“Ecce Homo”, nel capitolo dedicato al “Caso
Wagner”, elogia Stendhal e Bizet, per la leggerezza e
profondità psicologica con cui trattano l’amore. “Leggerezza
e profondità” sono finalmente riconosciute come due facce della
stessa medaglia.
In
realtà, Stendhal non poteva non affascinare Nietzsche per una
quantità di motivi: perché non è decadente, e cioè non conosce
la “malattia della volontà” ma l’allegria energica
dell’eros, della bellezza, dell’azione, dell’azzardo, del
futuro; perché il suo è un ateismo vitale e pulsante, dove la
“morte di Dio” non lascia un lutto infinito (Dostoevskij);
perché Stendhal sa che la “verità” della morale è un
feticcio per benpensanti, i quali si vendicano della loro
debolezza vitale di fronte al godimento per “la segreta gelosia
di una felicità che invidiano e che gli è preclusa” (De
l’Amour, framm. 108): perché la “verità” è che non si
sa nulla di ciò che si è ma molto su ciò che dà piacere. –
Stendhal è affascinante perché usa la ragione come una sua
serva, e non la sola ma una delle tante: sapendo che l’uomo non
è mai “logico”, la contraddizione serve quanto la coerenza.
Stendhal
è affascinante perché ha conosciuto la labirinticità dell’Io
e, imparando a non credere in se stesso (“il
genio poetico è morto, ma il genio del sospetto è nato”
aveva scritto nei Ricordi di egotismo), ha accettato il
gioco della maschera.
Nietzsche
rubò a Stendhal un aforisma famoso: “l’unica scusa di Dio, è
che non esiste”.
Su
questi carnevali, vedi qui l’articolo sull’arte
della conversazione.