Gide
ha pubblicato nel 1925 un
saggio per la prefazione all’edizione
Champion di “Armance”, che
ci accompagna alla
scoperta di alcuni “misteri” subacquei della complessità
psicologica negli uomini, che
Stendhal seppe dipingere così bene. In questo scritto, breve
ma prezioso,
sono evidenti, fin dalle
prime righe, non solo ammirazione, ma anche affetto profondo per lo
scrittore:
“Per
parlar bene di Stendhal, ci vorrebbero un po’ i suoi modi. Spesso è
la noia che lo spinge a scrivere. Ma il piacere con cui lo fa è così
intenso che non conosceremmo mai la noia che lo precede. Stendhal non
dice mai nulla se non quando vuole, col minimo sforzo. Si abbandona al
pensiero come altri fanno con l’ozio. Se è logico è perché gli
viene naturale, per la salute dello spirito; in realtà non pretende
di esserlo, giacché non pretende mai nulla; e se finisce per essere
logico è proprio in questo momento che ci diverte di più, poiché la passione e la sua sensibilità, più spiccata della ragione,
hanno la meglio, allora è lui soprattutto che amiamo, attraverso ciò
che dice, poiché la logica appartiene a tutti mentre la sensibilità
che gli riconosciamo appartiene solo a lui”.