Stendhal
aveva il dono di essere ingiusto e irriconoscente con rapida
grazia. Goethe è, nel “Brulard”, “l’insipido Goethe”.
Ma
Goethe con il “Werther” aveva dato anche al giovane Stendhal una grammatica
amorosa, sincera al punto da essere impronunciabile: “se osassi
scrivere come penso, dovrei esprimermi come questo ragazzo” (Diario,
21 gennaio 1805).
‘Essere
Werther
o Don
Giovanni?’:
è un modo essenziale per riassumere il dilemma di Stendhal in
amore. La faccenda è in fondo semplice: si gioca al Don Giovanni
fin quando, preda impotente dell’amore-passione, non ci si
ritrova ridotti - o innalzati? - a Werther. I dolori, e i piaceri
(non tutte le donne sono “impossibili” come
Carlotta!) di Werther sono infinitamente più grandi:
“L’amore,
anche quello infelice, dà a un animo sensibile, per il quale la cosa
immaginata è la cosa che esiste, tesori di godimento… ci
sono delle sublimi visioni di felicità e di bellezza in ognuno di
noi e in ciò che si ama… illusioni che un uomo saggio non può
mai avere” (framm. 121).
Ma
torniamo a Goethe, al quale è dedicato, in “De l’Amour”,
un frammento (il 61) lusinghiero su un argomento sorprendente: il
rapporto col denaro.
Il
suo “Viaggio in
Italia” Stendhal lo saccheggiò con il solito slancio
napoleonico per scrivere “Napoli,
Roma e Firenze”: Goethe, il più signorile tra le mille e
tre vittime dei suoi plagi, non fece una piega, riconoscendosi
anzi ammirato per l’ “energia” del libro.
Da
allora lesse Stendhal sempre: il dilettante francese fu per lui
qualcuno da cui non poteva staccarsi.
Ammirò
molto “Il Rosso e il
Nero”, dove c’è un capitolo – bellissimo! –
intitolato “Le affinità
elettive”.
Dell’effetto che il romanzo in cui due coppie fatalmente
si incrociano ebbe su Stendhal, c’è traccia nel Diario:
“La sera del 18 ho letto le Affinità di Goethe, romanzo
di un uomo di grande talento…”.
Di
Goethe Stendhal sputtanò soprattutto l’autobiografia, “Poesia
e verità”, trovandola pomposa e quindi noiosa: ma pare che
in realtà non la lesse davvero, e che si fidò di uno dei suoi
giornali preferiti, l’“Edinburgh
Review”.
Come
sempre nella vita, dunque, due pesi e due misure: se Goethe si
fosse fidato di quanto quello stesso giornale aveva scritto di
Stendhal, avrebbe dovuto definirlo uno scrittore
"frivolo".