“Petrarca
era infelice perché non poteva prendere il caffè?”
La
fondamentale questione è posta proprio in un capitolo di "De
l’Amour”: piccolo esempio di come Petrarca sia uno dei
prezzemoli dell’epistolario, delle conversazioni e dei libri di
Stendhal.
Sempre
in“De l’Amour”, il triste caso emblematico caso del
“povero Salviati” (cap. XXXI), una delle tante maschere del
nostro, è ricostruito a partire dagli “appunti” che ha
scritto poco prima di morire, “sul suo Petrarca”.
Stendhal
amò più di tutti il primo sonetto del “Canzoniere”:
una profezia in quintessenza non solo della sorte del suo amore
per “Métilde”, ma di un innamorato solitario destinato a
diventare scrittore.
Proprio
su una sua copia del “De l’Amour” Stendhal ne cita a
memoria un verso: “Io ero in parte altr’uomo di quel
ch’io sono”. - Segue una nota, scritta nel solito
mélange
di francese e inglese, che traduciamo: “Occorrerebbe sforzare myself
e per così dire violentare il pudore per speak, anche in
termini così poco sviluppati, del mio amore for Métilde”.
Che
scrivere d’un amore perduto significhi “violentare il
pudore” è già uno dei sentimenti di quel suo sonetto
preferito: un “vaneggiar” di cui “vergogna è il
frutto”.
Come
Petrarca, Stendhal sa anche che, essendo l’amore insulso per chi
non lo conosca di suo, è possibile raccontarsi solo a chi “per
prova intenda amore”: “Invito a non aprire questo libro
tutti coloro che non sono mai stati infelici per cause immaginarie
estranee alla vanità, e si vergognerebbero molto di
saperle divulgate nei salotti.” (“De l’Amour”,
Prima Prefazione).