Raccontare
la felicità, tanto più quella amorosa, è impossibile, e anche un
oltraggio.
Dal
Diario: “18 ventoso (9 marzo 1805) - “Incantevole giornata.
Se la descrivo, ne sciupo il piacere.” – L’idea della necessità
di questa reticenza torna nei “Ricordi di egotismo”:
“Avevo paura di deflorare i momenti felici che ho incontrato,
descrivendoli, anatomizzandoli. Ed è proprio quello che farò, salterò
la felicità.”
E
in “De l’Amour” : “Una della vita è che la
fortuna di vedere la persona amata e di parlarle non lascia ricordi
precisi. L’animo è troppo turbato dalle emozioni che prova per
poter fare attenzione a ciò che le produce o le accompagna”: come
di un sasso caduto nello stagno, non restano che i cerchi che si
dilatano da un centro rimasto vuoto.
La
felicità è insomma amica del silenzio e se Stendhal ne parla è solo
per “pagare il biglietto d’ingresso” (Vita di Henry Brulard).
Proprio
il Brulard
finisce su una delle sue grandi felicità amorose,
l’inizio della relazione con Angela Pietragrua:
“A
cosa attenermi? Come descrivere la felicità pazzesca?
Il
lettore è mai stato innamorato pazzo? Ha mai avuto la fortuna di
passare una notte con l’amante ch’egli ha amato soprattutto in
vita sua?
Davvero,
non posso continuare; l’argomento supera chi deve parlare.
Sento
di essere ridicolo o meglio incredibile. La mano non può più
scrivere, rimando a domani.
Forse
converrebbe saltare a piè pari questi sei mesi. Come rintracciare la
felicità eccessiva che ogni cosa mi dava? E’ impossibile per me.”