POLONIO - Io ho
una figlia, ce l’ho finché è mia.
(Atto II, sc. 2)
«Per te, simile
a un dio dovrebbe esser tuo padre.»
(Sogno di una
notte di mezza estate, Atto I, sc. 1)
«I padri contano
sempre meno di quel che vorrebbero far credere i loro figli e gli
psicanalisti»
(R. Girard,
Shakespeare. Il teatro dell’invidia, Milano 2002)
Chissà quanto vale questa
osservazione: quando nel 1596 muore a undici anni il figlio
Hamnet, «diversamente da Ben Jonson e altri che scrissero poesie
piene di dolore per la perdita di figli adorati, Shakespeare non
pubblicò elegie e non lasciò alcuna traccia diretta di sentimenti
paterni» (S. Greenblatt, Vita, arte e passioni di William
Shakespeare, capocomico, Torino 2005). In compenso il suo
teatro trabocca di padri, di figli e di figlie: pochissime però le
madri. E su questo le illazioni più meravigliose le ha scritte
Joyce.
Sicuro che la psicoanalisi sia una
delle superstizioni del XX secolo, Girard sostiene che,
«al contrario di quello che comunemente si crede, in Shakespeare la
figura del padre in sé conta pochissimo. Invece di essere oggetto dei
desideri più profondi, come sostiene Freud, svolge la funzione di
maschera del desiderio mimetico» (R. Girard, Shakespeare. Il
teatro dell’invidia, Milano 2002). Soprattutto dopo il
Sogno di una notte di mezza estate, «l’autorità paterna è
morta e sepolta, e non svolgerà mai più un ruolo significativo nel
teatro di Shakespeare» (Ibid.). E mette a posto il resto
del corpus con questa osservazione: ««Se non sono già morti
all’inizio dell’opera, padri e governanti di ogni genere sono
comunque già con un piede fuori dalla scena: Egeo, Teseo, Riccardo II,
Enrico IV, Riccardo III, Duncan, Lear» (Ibid.).
Ne dimentica un bel po’, Prospero
per dirne uno, ma non è questo il punto. Anche prendendo per buona la
sua scansione della paterna presenza in Shakespeare, Girard scambia fa
tutt’uno di forza e presenza, mentre è proprio dal limite dalla
demenza e della morte che il ricatto paterno acquisisce forze infere,
demenze intrattabili e rovinose. Il morire e la senilità hanno un
prestigio su cui l’antropologo saprà scrivere fiumi di meraviglie, che
però qui trascura. Presenta come una diminutio quella che è
invece un’apoteosi: perché si potrà anche discutere con un padre, ma
col suo fantasma?