«Ma c’è anche
della frivolezza nella poesia. Shakespeare mette alla berlina gli
eufuisti sia in Pene d’amor perdute sia nell’Amleto, ma
nei suoi confronti ha un grosso debito e lo sa bene.»
(W. H. Auden,
Lezioni su Shakespeare)
«Fino al Mercante di Venezia,
e cioè per tutti gli anni del suo tirocinio, Shakespeare aveva
soltanto saputo alimentare promesse di personaggi, più che personaggi
reali. Basti rilevare le circostanze che i più vivi esemplari umani
animati da Shakespeare, fin lì, avevano saputo essere insistentemente
dei dandies raffinati, degli incorreggibili «uomini superflui»:
Berowne di Love’s Labour’s Lost, Mercutio di Romeo
and Juliet, re Riccardo II. E bisogna tener presente che un
dandy e un «uomo superfluo»sarà anche il personaggio più
scandalosamente vezzeggiato da Shakespeare: Amleto»
(G. Baldini, Manualetto
shakespeariano, Torino 1967).
Per Nemi d’Agostino però la
lambiccata
letterina a Ofelia
è «evidentemente una parodia d’una lettera d’amore, ma le intenzioni
di Amleto diventano ancora più enigmatiche». Forse però, quando di
Amleto si dice «evidentemente», ci si scotta
invariabilmente.
Il discorso ci porterebbe a un altro
luogo di ambiguità, roba però da talk-show del pomeriggio: Amleto
ama davvero Ofelia? Riduciamoci a questioni di stile. Del
biglietto in cui le dichiara che può dubitare delle stelle nel cielo
ma non che lui non l’ami,
si potrà dire che «c’era
tanto amore in rima quanto ne può venir stipato in un foglio di carta»
(Pene d’amor perdute, Atto V, sc. 2), che guarda caso è
la frase di una donna. Soprattutto le donne sanno che la maschile
isteria per la dichiarazione d’amore e l’amore sono cose tra loro
diverse come il dire dal fare, e che per l’enfasi del desiderio
scatenato un vergine Romeo finisca, «invece di leggere, di recitare a
memoria» come sue frasi evidentemente di altri (così Fra’ Lorenzo in
Romeo e Giulietta, Atto II, sc. 3).
Niente di meno autentico, dunque,
del neofita: come in poesia all’inizio di ogni carriera c’è un poeta
pessimo ed enfatico che cede all’afflato autentico di versi terribili,
ogni amante agli albori niente di più suo sentirà delle frasette delle
caramelle. Col tempo, l’eleganza di una buona finzione salvaguarderà
molto meglio la verità («quanto più vera è la poesia tanto più è piena
di finzioni. Ora gli amanti sono dediti alla poesia, e ciò che essi
giurano in poesia, si può dire che, come amanti, lo fingono», A
piacer vostro, Atto II, sc. 3). E anche questo chissà per
quanto potrà essere vero. A parlare e scrivere d’amore, si sta sospesi
sul filo dell’incredibile, anche perché tra una dichiarazione sincera
e una simulazione (problema con finezza affrontato, ma anche qui senza
soluzione persuasiva, anche nel Libro del Cortigiano di
Castiglione) tecnicamente la differenza è nulla.
Così, come non capire chi dice
«preferisco sentire il mio cane che abbaia alle cornacchie che non un
uomo giurarmi che m’ama» (Molto rumore per nulla, Atto I,
sc. 1)?