«Anche noi eravamo
carini… una volta. E’ raro che non si sia stati carini… una volta.»
(S. Beckett,
Finale di partita)
LAERTE - Ma sta
attenta:
dato il suo rango,
non ha volontà.
(Atto I, sc. 3)
Giustificheremo Amleto perché,
giovanilmente svogliato per le atroci novità, viene via via sempre più
distratto da se stesso: «Non sarebbe la prima volta che gli eventi
ostacolano una vocazione» (G. Manganelli, Monodialogo, in
Tragedie da leggere, Torino 2005). L posto della quale, si fa
strada imperturbabile il Dovere: «suddito della sua nascita. Egli non
può, come le persone di poco conto, servirsi da solo, poiché dalla sua
scelta dipendono la sicurezza e la salute dell’intero stato…” (Amleto,
Atto I, sc. 3). – E? un punto mica da poco: mai il più celebre degli
Amleti potrà dire come in Laforgue «me infischio anche del trono. E’ una
cosa che abbruttisce!» (J. Laforgue, Amleto, ovvero Le conseguenze
della pietà filiale): come se si potesse davvero piantare in
asso il mondo già solo per capriccio.
«Non è bene essere troppo liberi. Non
è bene avere tutto il necessario.» (B. Pascal, Pensieri);
allo stesso tempo, per non soccombere « è molto importante essere
istruiti molto presto, fin dalla giovinezza, sul fatto che siamo al
mondo per assistere a una mascherata.» (A. Schopenhauer, Parerga e
paralipomena). Figurarsi un principe.
«Se volete vestirlo di nero, ve lo
concedo a patto che consideriate questa tinta una necessità di rigore,
mai certamente un lutto per suo padre.» (C. Bene, Opere,
Milano 2002)
Urgono istruzioni.
La sapienza è la prima via di fuga
per non farsi ingoiare dal mondo pazzoide che tutto pretende.’Altri
escamotages saranno la distrazione, l’evanescenza, la non
pertinenza, l’understatement («è che io sono soltanto un
parassita feudale», J.
Laforgue, Amleto, ovvero Le conseguenze della pietà filiale),
la mancanza («Amleto,
personaggio assai strano, poteva incantarsi – se gli rigirava – a
stampare cerchi nell’acqua. Nell’acqua, che è come dire: nel cielo.»,
Ibid.) e, ovviamente, la follia.
«Egli vuol sottrarsi alla conclusione
non per inane smania di sopravvivere, ma per desiderio di dare alla
propria natura una qualità di disobbedienza. (…) egli crede che
disobbedire sia agire un ‘no’.» (G. Manganelli, Un amore
impossibile, in Agli dèi ulteriori, Torino 1972).
Ah, avesse avuto davvero, di
fronte al precipitare degli eventi, la forza di lasciarli precipitare da
sé, e dire ai fatti un «tanto peggio per i fatti» («Desto
schlimmer für die Tatsachen»,
Hegel
quando si scoprì Urano)!