"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 13  settembre 2007

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 56. Thing, King, No-thing

 

 

 

 

 


Amleto - Cesare imperator, fatto cemento,

ottura un buco per parare il vento.

(Atto V, sc. 1)

 

 

Ovvero: dove Amleto è sublime.

«Rosencrantz - Signore, dovete dirci dove si trova il corpo e venire con noi dal re» («My lord, you must tell us where the body is, and go / with us to the king.»). «Hamlet - The body is with the King, but the King is not with the body. The King is a thing.» («Il corpo è con il Re, ma il Re non è con il corpo. Il Re è una cosa.»)… 

Guildenstern - A thing, my lord?

Hamlet - Of nothing.

(Atto IV, sc. 2)

 Calembours molto interpretati per un Amleto degno di Totò: alla domanda di Rosencrantz su dove sia il corpo di Polonio, il principe risponde alla lettera e dunque non a Rosencrantz ma alle parole.

Potrebbe esser letto così: poiché è lo Spettro il vero Re, il Re non è più nel suo corpo; il corpo di quello che tutti chiamano “Re” è effettivamente con lui, ma lui non è il vero Re. Il vero re è una cosa infatti ormai è un cadavere: come ogni cosa, una cosa «da niente».

 

Che è poi l’ovvia sorte di tutti, quindi anche dei Cesari, le cui ceneri possono finire a far da tappo alle botti (Atto V, sc. 1). Ossessione barocca della morte: non c’è cosa che non diventi cosa! Dove cosa – orripilando la logica inflessibile di Severino, ma prima già di Heidegger – vuol dire niente: «L’uomo è cosa da nulla» (Montaigne, Saggi, vol. II), che a ritroso ci porta fino alle origini, come si suol dire da quando si vuol fare i carini, giudaico-cristiane, dell’Occidente: «L’uomo è come una cosa da nulla» (Salmo 144, 4 nella Prayer Book Version).

 

 

 

Il re è un uomo, un uomo è nulla, ergo anch’egli è nulla: è tra le tre-quattro cose a cui Amleto pare proprio non rassegnarsi, tante sono le volte che se le ridice. Mentre, che Polonio, o Rosencrantz e Guildenstern siano nulla gli appare banale fino a permettersi di di ammazzarli senza ricordi e rimorsi per la sua coscienza.

 

Eppure la madre aveva detto che sul corpaccione squartato di Polonio Amleto aveva pianto (Atto IV, sc. 1): strepitoso funambolo, il giove principe, almeno in scena, mostra invece d’impipparsi altamente di Polonio come tutto il resto. E’ cattivissimo e al meglio di sé: gioca con le parole e, almeno con quelle, dà scacco al re:

 

RE - Ebbene, Amleto, dov’è Polonio?

AMLETO - A cena.

RE - A cena? dove?

AMLETO - Non dov’egli mangia, ma dov’è mangiato; una certa assemblea di vermi politici stan proprio addosso a lui. Il verme è l’unico imperatore in quanto al vitto; noi ingrassiamo tutte le altre creature per ingrassarci, e ingrassiamo noi stessi per i vermi; un re grasso e un mendicante magro, non sono che un servizio variato, due piatti, ma per una sola tavola; questa è la fine.

AMLETO - Ahimè! ahimè!

Am: Un uomo può pescare col verme che s’è cibato d’un re, e mangiar del pesce che s’è pasciuto di quel verme.

AMLETO - Che vuoi tu dire con questo?

AMLETO - Nient’altro che mostrarvi come un re possa fare un solenne viaggio attraverso le budella di un mendicante.

RE - Dov’è Polonio?

(Atto IV, sc. 3)

 


 

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