Amleto - Cesare 
      imperator, fatto cemento,
      
      
      ottura un buco per 
      parare il vento.
      
      
      (Atto V, sc. 1)
      
      
       
      
       
      
      Ovvero: dove Amleto è sublime.
      
      «Rosencrantz - Signore, 
      dovete dirci dove si trova il corpo e venire con noi dal re» («My lord, 
      you must tell us where the body is, and go / with us 
      to the king.»). «Hamlet - The body is with the
      King, but the King is not with the body.
      The King is a thing.» 
      («Il corpo è con il Re, ma il Re non è con il corpo. Il Re è una cosa.»)… 
      
        
          
            
              
              Guildenstern - 
              A thing, my lord?
              
              Hamlet - Of 
              nothing.
              
              (Atto IV, sc. 
              2)
            
          
        
      
      
       Calembours 
      molto interpretati per un Amleto degno di Totò: alla domanda di 
      Rosencrantz su dove sia il corpo di Polonio, il principe risponde alla 
      lettera e dunque non a Rosencrantz ma alle parole. 
      
      
      Potrebbe esser letto così: poiché è lo 
      Spettro il vero Re, il Re non è più nel suo corpo; il corpo di 
      quello che tutti chiamano “Re” è effettivamente con lui, ma lui non è il 
      vero Re. Il vero re è una cosa infatti ormai è un cadavere: come 
      ogni cosa, una cosa «da niente». 
      
       
      
      Che è poi l’ovvia sorte di tutti, quindi 
      anche dei Cesari, le cui ceneri possono finire a far da tappo alle botti
      (Atto V, sc. 1). Ossessione barocca della morte: non c’è cosa che 
      non diventi cosa! Dove cosa – orripilando la logica inflessibile di
      Severino, ma prima già di Heidegger – vuol dire niente: 
      «L’uomo è cosa da nulla» (Montaigne, Saggi, vol. II), che a 
      ritroso ci porta fino alle origini, come si suol dire da quando si vuol 
      fare i carini, giudaico-cristiane, dell’Occidente: «L’uomo è come una cosa 
      da nulla» (Salmo 144, 4 nella Prayer Book Version). 
      
      
       
      
       
      
       
      
      Il re è un uomo, un uomo è nulla, ergo 
      anch’egli è nulla: è tra le tre-quattro cose a cui Amleto pare proprio non 
      rassegnarsi, tante sono le volte che se le ridice. Mentre, che Polonio, o 
      Rosencrantz e Guildenstern siano nulla gli appare banale fino a 
      permettersi di di ammazzarli senza ricordi e rimorsi per la sua coscienza.
      
       
      
      Eppure la madre aveva detto che sul 
      corpaccione squartato di Polonio Amleto aveva pianto (Atto IV, sc. 1): 
      strepitoso funambolo, il giove principe, almeno in scena, mostra invece d’impipparsi 
      altamente di Polonio come tutto il resto. E’ cattivissimo e al meglio di 
      sé: gioca con le parole e, almeno con quelle, dà scacco al re: 
      
       
      
      RE - Ebbene, Amleto, dov’è Polonio?
      
      AMLETO - A cena.
      
      RE - A cena? dove?
      
      AMLETO - Non dov’egli mangia, ma 
      dov’è mangiato; una certa assemblea di 
      vermi 
      politici stan proprio addosso a lui. Il verme è l’unico 
      imperatore in quanto al vitto; noi ingrassiamo tutte le altre creature per 
      ingrassarci, e ingrassiamo noi stessi per i vermi; un re grasso e un 
      mendicante magro, non sono che un servizio variato, due piatti, ma per una 
      sola tavola; questa è la fine.
      
      AMLETO - Ahimè! ahimè!
      
      Am: Un uomo può pescare col verme 
      che s’è cibato d’un re, e mangiar del pesce che s’è pasciuto di quel 
      verme.
      
      AMLETO - Che vuoi tu dire con 
      questo?
      
      AMLETO - Nient’altro che mostrarvi 
      come un re possa fare un solenne viaggio attraverso le budella di un 
      mendicante.
      
      RE - Dov’è Polonio? 
      
      (Atto IV, sc. 3)