AMLETO - …ma predico che il re eletto sarà Fortebraccio. Morendo gli do
il mio voto. Diglielo, e digli i fatti gravi e minori che mi hanno
spinto...
(Atto V, sc. 2)
Simmetrie evidenti tra inizio e fine
del dramma, e quindi tra Claudio e Fortebraccio, ma anche tra
Fortebraccio e Amleto senior e junior. Alla fine, anche se la formula è
di rito, fa impressione sentire il nuovo re chiudere il sipario con lo
stesso incipit con cui s’era aperto: «con dolore abbraccio questa
fortuna» («with sorrow I embrice my fortune», Atto V, sc. 2) dice
lui che tende al breve, mentre il più coltivato Claudio diceva «con
gioia abbattuta, / con un occhio lieto e l’altro lacrimante, /con
letizia nel funerale…» eccetera ((«with a defeated joy…», Atto
I, sc. 2).
Anche se Amleto allucina in
Fortebraccio, assieme a Laerte, uno dei suoi due specchi, è un fatto che
Fortebraccio – da qui in poi tutte parole di Amleto - si farebbe
ammazzare per «un guscio d’uovo» (Atto IV, sc. 4), mentre Amleto
vivrebbe da cosmico imperatore in «un guscio di noce» (Atto II, sc.
2).
Fortebraccio, che come Amleto è un
orfano omonimo di suo padre e al momento del dramma sotto tutela di uno
zio, si troverà – come del resto sarebbe capitato ad Amleto se gli fosse
andata bene – ad aver inopinatamente vendicato il padre diventando il re
che avrebbe dovuto essere Amleto. Fortebraccio restituisce dunque pan
per focaccia alla Danimarca, ed è quindi specchio del vecchio Amleto che
tal quale a lui agiva e ragionava. Allo stesso tempo, assume alla fine
con agio il ruolo rituale e ossimorico che all’inizio era tenuto da
Claudio: «Ma forse Shakespeare mostrava un mondo in cui la sola cosa che
cambia è il nome dei re, in cui il Grande Meccanismo resta sempre lo
stesso…» (J. Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Milano
2006).
Dunque, dal punto della vista della
discendenza, Claudio fratricida e suo fratello Amleto sono i padri
necessari del nuovo re di Danimarca. E’ Amleto junior che non arriva
neppure a una spanna di cotanta geometrica esattezza della “Storia”.