«La
preda dei vermi, il mio corpo morto»
(Sonetto
74, v. 10)
«Dovranno
i vermi, eredi di questo spreco,
divorare la tua spesa? Questo è il fine
del tuo corpo?»
(Sonetto
146, vv. 7-8)
«Re: Ebbene, Amleto, dov’è Polonio?
Amleto: A cena.
Re: A cena? dove?
Amleto: Non dov’egli mangia, ma dov’è
mangiato; una certa assemblea di vermi politici stan proprio addosso a
lui. Il verme è l’unico imperatore in quanto al vitto; noi ingrassiamo
tutte le altre creature per ingrassarci, e ingrassiamo noi stessi per i
vermi; un re grasso e un mendicante magro, non sono che un servizio
variato, due piatti, ma per una sola tavola; questa è la fine.
Re: Ahimè! ahimè!
Amleto: Un uomo può pescare col verme
che s’è cibato d’un re, e mangiar del pesce che s’è pasciuto di quel
verme.
Re: Che vuoi tu dire con questo?
Amleto: Nient’altro che mostrarvi come
un re possa fare un solenne viaggio attraverso le budella di un
mendicante.
Re: Dov’è Polonio?»
(Atto IV, sc. 3)
Se non è uno sketch questo! - «Sua
Eccellenza il Verme» torna nelle congetture sui pomposi ex-proprietari dei
teschi nel cimitero con cui si apre il Quinto Atto, sc. 1. Che
Amleto sia baroccamente ossessionato dallo scandalo della purulenta
disfazione dei corpi almeno quanto della metafisica sorte dell’anima,
potrebbe farlo pensare il ritorno di una sequenza del tutto simile a
quella sopra citata: quando pensa al cadavere del grande Alessandro,
al possibile ri-ciclo irridente e infamante della sua polvere
imperiale in tappo per una botte (Ib.).