AMLETO - O voi tutte, legioni del cielo! O terra! Che più? E aggiungerò
l’inferno?
(Atto I, sc. 5)
ORAZIO - Perché si avvicinano quei tamburi?
(Atto V, sc. 2)
Più passa il tempo, meno Amleto è
cristiano. All’inizio l’incontro con lo Spettro, sbucato dalle infernali
pene del Purgatorio per chiedere la testa del fratello ma di lasciare «al
cielo» la madre fedifraga, Amleto parla cristiano: «La vita non la stimo
un soldo, e in quanto all'anima, cosa potrebbe farle se è immortale come
lui?» (Atto I, sc. 4).
Invece di inginocchiarsi e obbedire, da cristiano più prudente e rigoroso,
risponde da sé alla domanda: a mente appena fredda, anticipa
Cartesio
e dubita della visione: «Lo
spirito ch’io ho veduto potrebbe essere un
diavolo, e il diavolo può prendere un aspetto gradevole, sì, e forse,
vista la mia debolezza e la mia malinconia, lui che è così potente su chi
ne soffre, m’inganna per dannarmi». Cercherà «motivi più rilevanti», e
cioè più umani, per convincersi della colpevolezza del Re: da rivelazione
trascendentale, la questione della morte del padre promette di decadere a
giallo (Atto II, sc. 4).
Ma il terzo atto Amleto sprofonda non
nell’inchiesta (qualcosa che nasce sul momento, rapsodicamente, giusto
perché a corte passa una compagnia di attori, Amleto concepisce la
“trappola per topi”), ma nella tentazione del «dormire, nient’altro» e
insomma del «non essere»: «epilogo da desiderarsi devotamente», dal quale
lo trattiene non la certezza (ha visto e parlato con lo Spettro!) di Dio e
della sua vendetta, ma – davvero fantastico! - «il timore di qualche cosa»
(Atto III; sc. I). L’oltretomba di cui gli è stato testimone il
padre è declassato a « sogno
della morte», intoppo del resto sufficiente a fermare il suicida in cerca
di quiete. Il timore, diciamo pure teorico, che nel non essere si
possa celare un essere penoso come un incubo in fondo al sonno, «è la
considerazione che dà alla sventura una così lunga vita». Questo è davvero
stupefacente, come quel parlare dell’oltretomba come di una specie di
Oceania: «il paese non ancora scoperto dal cui confine nessun viaggiatore
ritorna». - Nessuno? E suo padre con chi ha parlato? - Perché lo
Spettro del vecchio Amleto non dà nessun conforto teologico al figlio?
Perché Amleto proprio nel centro del centro, nel cuore del monologo più
famoso del pianeta, parla come se suo padre non gli fosse mai apparso?
Se l’incontro con lo Spettro spacca la
vita di Amleto in due, l’essere o non essere è il tentativo più struggente
di lasciarsi entrambi i pezzi alle spalle… - Poi diventano sempre più
aleatorî gli accenni al trascendente: e quando non uccide Claudio mentre
lo spia che prega perché pensa che così lo manda in paradiso, o è
pretestuoso o è blasfemo: probabilmente entrambi. In realtà, tra trappole
per topi, scenate a Ofelia e Gertrude, Polonio ucciso e viaggio in
Inghilterra con rocambolesco ritorno, non c’è tempo per Dio. Nel cimitero
di Ofelia, Yorick e Polonio, di Dio non appare neanche il fantasma: Amleto
parla con il becchino di quanto tempo occorra alla decomposizione dei
corpi; il sacerdote cavilla cinico sui funerali religiosi concessi a una
suicida.
Alla fine Dio torna come nome della sua
stanchezza: anche il passero cade per volontà di una provvidenza padrona
di ogni sorte (Atto V, sc. 2), niente di essenziale può fare
nessuno, si lasci dunque essere ciò che accadrà comunque: discorso
pluripartisan, che può star bene in bocca a Seneca, a Gesù che accetta
il Golgota, a Calvino, a un positivista che creda che tutto sia
macchina, a un seguace del Buddha... – Cero è che, quando Amleto
finalmente muore, non raccomanda l’anima a nessuno: chiede a Orazio di
salvare la sua storia perché ne resti memoria nel mondo fuori sesto.
L’ultima ironia potrebbe essere questa: appena il pio Orazio augura che
«canti e voli d'angeli» accompagnino al suo riposo il pluriomicida, invece
che cori serafici, arrivano i tamburi di Fortebraccio.
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