"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 13  settembre 2007

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 38. Cristianesimo e tamburi

 

 

 

 


 

AMLETO - O voi tutte, legioni del cielo! O terra! Che più? E aggiungerò l’inferno?

(Atto I, sc. 5)

 

ORAZIO - Perché si avvicinano quei tamburi?

(Atto V, sc. 2)

 

 

Più passa il tempo, meno Amleto è cristiano. All’inizio l’incontro con lo Spettro, sbucato dalle infernali pene del Purgatorio per chiedere la testa del fratello ma di lasciare «al cielo» la madre fedifraga, Amleto parla cristiano: «La vita non la stimo un soldo, e in quanto all'anima, cosa potrebbe farle se è immortale come lui?» (Atto I, sc. 4). Invece di inginocchiarsi e obbedire, da cristiano più prudente e rigoroso, risponde da sé alla domanda: a mente appena fredda, anticipa Cartesio e dubita della visione: «Lo spirito ch’io ho veduto potrebbe essere un diavolo, e il diavolo può prendere un aspetto gradevole, sì, e forse, vista la mia debolezza e la mia malinconia, lui che è così potente su chi ne soffre, m’inganna per dannarmi». Cercherà «motivi più rilevanti», e cioè più umani, per convincersi della colpevolezza del Re: da rivelazione trascendentale, la questione della morte del padre promette di decadere a giallo (Atto II, sc. 4).

 

 

 

Ma il terzo atto Amleto sprofonda non nell’inchiesta (qualcosa che nasce sul momento, rapsodicamente, giusto perché a corte passa una compagnia di attori, Amleto concepisce la “trappola per topi”), ma nella tentazione del «dormire, nient’altro» e insomma del «non essere»: «epilogo da desiderarsi devotamente»,  dal quale lo trattiene non la certezza (ha visto e parlato con lo Spettro!) di Dio e della sua vendetta, ma – davvero fantastico! - «il timore di qualche cosa» (Atto III; sc. I). L’oltretomba di cui gli è stato testimone il padre è declassato a « sogno della morte», intoppo del resto sufficiente a fermare il suicida in cerca di quiete. Il timore, diciamo pure teorico, che nel non essere si possa celare un essere penoso come un incubo in fondo al sonno, «è la considerazione che dà alla sventura una così lunga vita». Questo è davvero stupefacente, come quel parlare dell’oltretomba come di una specie di Oceania:  «il paese non ancora scoperto dal cui confine nessun viaggiatore ritorna». - Nessuno? E suo padre con chi ha parlato? - Perché lo Spettro del vecchio Amleto non dà nessun conforto teologico al figlio? Perché Amleto proprio nel centro del centro, nel cuore del monologo più famoso del pianeta, parla come se suo padre non gli fosse mai apparso?

 

Se l’incontro con lo Spettro spacca la vita di Amleto in due, l’essere o non essere è il tentativo più struggente di lasciarsi entrambi i pezzi alle spalle… - Poi diventano sempre più aleatorî gli accenni al trascendente: e quando non uccide Claudio mentre lo spia che prega perché pensa che così lo manda in paradiso, o è pretestuoso o è blasfemo: probabilmente entrambi. In realtà, tra trappole per topi, scenate a Ofelia e Gertrude, Polonio ucciso e viaggio in Inghilterra con rocambolesco ritorno, non c’è tempo per Dio.  Nel cimitero di Ofelia, Yorick e Polonio, di Dio non appare neanche il fantasma: Amleto parla con il becchino di quanto tempo occorra alla decomposizione dei corpi; il sacerdote cavilla cinico sui funerali religiosi concessi a una suicida.

 

 

 

Alla fine Dio torna come nome della sua stanchezza: anche il passero cade per volontà di una provvidenza padrona di ogni sorte (Atto V, sc. 2), niente di essenziale può fare nessuno, si lasci dunque essere ciò che accadrà comunque: discorso pluripartisan, che può star bene in bocca a Seneca, a Gesù che accetta il Golgota, a Calvino, a un positivista che creda che tutto sia macchina, a un seguace del Buddha... – Cero è che, quando Amleto finalmente muore, non raccomanda l’anima a nessuno: chiede a Orazio di salvare la sua storia perché ne resti memoria nel mondo fuori sesto. L’ultima ironia potrebbe essere questa: appena il pio Orazio augura che «canti e voli d'angeli» accompagnino al suo riposo il pluriomicida, invece che cori serafici, arrivano i tamburi di Fortebraccio. 


 

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