"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12  settembre 2007

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 28. Bestiario

 

 

 

 


 

«Ben scavato, vecchia talpa!»

(Atto I, sc. 5)

 

 

 In questo capolavoro scritto quando ancora l’uomo stava dentro una Natura ben più grande e potente di lui, gli animali offrono ottime figure anche per i paradossi.

Il re: «Come vive il nostro nipote Amleto?»; e lui: «Ottimamente, in fede: del piatto del camaleonte; io mangio l’aria, infarcita di promesse; non potete nutrire così i capponi» (Atto III, sc. 2).

A Polonio, opponendo l’età veneranda di lui alla sua decrepita giovinezza, il principe fa notare che «voi stesso, messere, sareste vecchio come me, se come un granchio poteste andare all’indietro» (Atto II, sc. 2).

 

In questa scena è cattivissimo, come un comico con la sua spalla, quando gli riduce la figlia a cadavere: «se il sole genera vermi in un cane / morto – ottima carne da baciare!... Avete una figlia?» (Ibid.). L’ipersillogismo potrebbe essere il seguente: se il sole (che in inglese si pronuncia tal quale a «figlio») bacia la carne che così si corrompe e genera vermi – di certo tra gli animali preferiti da Amleto - che a loro volta baciano la carne, non lasci che sua figlia sia esposta al sole (figlio) perché non sia ugualmente corrotta («Let her walk i’th’ sun.»).

 

 

 

Sempre col servile Polonio, che avvertì Ofelia che la corte del signorino eran «trappole per beccacce» (Atto I, sc. 3), Amleto si diverte anche a guardare una nuvola, sempre, benché del tutto arbitrariamente, zoomorfa:  prima è un cammello, poi una balena: Il cortigiano Polonio, già attor giovane «pecorone» (o capodoglio? «calf») nella parte di Cesare, dice di sì, anche se nella nuvola noterebbe piuttosto il dorso d’una donnola» (Atto II, sc. 2). Ma Polonio ha troppe parole e quando giura sull'onore è come se giurasse «on his ass» (Ibid.), che vale sia per dire sul suo asino che che sul suo culo.

 

Quando parla del re Claudio, lo zoo di Amleto sciorina altri animali: quando vede che il dramma di Gonzago ferisce il Re come secondo lui potrebbe solo la verità (Polonio direbbe che «l’esca della menzogna prende questa / carpa di verità”, Atto II, sc. 1), le metafore sono due ed entrambe cornute:  «Ferito daino, ebben, che pianga / e scherzi il cervo mondo» (Atto III, sc. 2).

A proposito della messinscena - come si sa - almeno degli attori Amleto è contento, e certo li preferisce così adulti ed esperti a qui giovani che andavano di moda ai tempi in realtà non della sua  medievale Elsinore ma dei suoi spettatori londinesi: «falchetti che strillano» (Atto II, sc. 2) li chiama Rosencrantz.

Il meglio del peggio avviene poco dopo nello sfogo terribile sul letto della madre, quando Claudio è «un rospo, un pipistrello, un gatto», tricolon che ai tempi costituiva un climax evidente di schifo, data la fama universale del micio come animale lubrico, infido e stregonesco (Macbeth, Atto I, sc. 1).

 

 

 

Claudio e la moglie, la mamma del nostro, sono accomunati dall’essere bestie: lei perché «una bestia a cui manca il discorso della ragione, avrebbe pianto più a lungo» la morte del primo marito (Atto I, sc. 2), Claudio nelle stesse parole dello Spettro, che però ci va cauto quando parla dell’ex-moglie, che è «bestia incestuosa e adultera» (Atto I, sc. 5).

Sulla mamma, infine, Amleto è cattivissimo quando, in un isterico vortice di antifrasi e di antifrasi di antifrasi, le dice: «a dispetto del buon senso e della segretezza, spiccate la cesta dalla cima della casa, fate volare gli uccelli e come la famosa scimmia, per provare le conseguenze, entrate nella cesta, e rompetevi il collo cadendo» (Atto III; sc. 4): il solito sprezzante maleducato, che accennando a una favola di cui s’è persa notizia, per intimarle il silenzio sulle terribili cose emerse nel loro incontro. Ma come esser sicuri che almeno la madre abbia capito?

 

Al cimitero, estatico nelle sue illazioni su di chi possa essere ogni anonimo cranio, quando arriva agli avvocati e agli stipulatori di contratti ad Orazio dice così:

 

AMLETO - Di’, la pergamena non è pelle di pecora?

ORAZIO - Sì monsignore, e anche di vitello.

AMLETO - Pecore e vitelli son quelli che cercano garanzia in queste cose….

(Atto V, sc. 1)

 

A portargli la mendace proposta del duello con Laerte è il fatuo, ed evidentemente aereo, Osric che Amleto chiama libellula, e Orazio, appena se n’è andato, pavoncella che «vola via col guscio sulla capoccia» (Atto V, sc. 2).

 

A parte gli animali che fanno dell’umano cadavere una tappa dell’eterno ciclo alimentare.

 


 

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