"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12  settembre 2007

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 29. Claudio macbetto

 

 

 

 


ENRICO E cosa hanno i re che non l’abbiano anche i comuni cittadini, / se non la cerimonia, se non l’universale cerimonia?

(Enrico V, Atto IV, sc. 1)

 

CLAUDIO –  …A mali estremi

estremi rimedi. Oppure niente.

(Amleto, Atto IV, sc. 3)

 

 

 Tra le tante cose leggibili nel primo discorso di Claudio una ci sembra chiara: non sottovalutarlo! - Non c’è mai in lui solo una banale smaccata villainy di re machiavello porcello e travicello, ma la ceremony di un habitus fino in fondo regale (cfr. G. L. Kittredge The Complete Works of Shakespeare, 1936): un usurpatore all’altezza del suo regno, capace di un ottimo dire, che del re è il primo fare: «Like Plato, the Elizabethians believed in the truth of names» purché, come Socrate nel Cratilo,  i nomi siano detti da chi può e deve, quindi dal legislatore.

Questo potere normativo è supremo nel momento dell’incoronazione. Claudio, che agli occhi di tutti è il re, decide, sancisce, impone, media, proclama: «In the legal sphere too, the king’s word was immediatly effective, and so were the words spoken by those to whom he debuted legal authority…» (M.M. Mahood, Shakespeare’s Wordplay, London 1957).

 

CLAUDIO: …Ora, venendo a noi

e a questa nostra riunione, la questione sta così:

abbiamo qui scritto al Re di Norvegia…

(Atto I, sc. 2)

  

Bella, come sempre, la notazione di Nemi D’Agostino: «Discorso giusto di un uomo ingiusto, o, come dicono le Coefore (398) “il giusto che sorge dall’ingiusto”. Le parole del re possono anche significare, a un livello più basso, il suo desiderio costruttivo di ristabilire un ordine che porti rimedio alla colpa, come sarà implicito nel suo rimorso a III, iii, 36-72. claudio non sarebbe il primo usurpatore e uccisore di Shakespeare che diventa un re capace. Alle frequenze più basse cogliamo nel discorso i piani dell’emotività, della hybris, delle passioni, della sofferenza: ad es. l’avidità di potere di Claudio ma anche la sua tolleranza e il suo forte amore per la regina (IV, vii, 14-16). tutti questi piani, e il piano dell’inganno che vi sente Amleto, costituiscono l’entità indefinibile e carismatica che è Claudio, la cui ultima realtà di uomo  «deinòs» (portentoso) è indefinibile e ingiudicabile (come sapeva Cristo), investita com’è dalle forze della Moira, della Tiche, di Ate. Claudio è complesso come Macbeth, e una complessità appena minore si trova nella regina e in Polonio, in armonia con la prospettiva drammatica e il degradare dal centro in fuori della polisemia» (N. D’Agostino, Nota a W. Shakespeare, Amleto, Milano 2004).

 

 

Claudio conosce l’angoscia dell’omicida che vorrebbe «poter arrestare nella rete le conseguenze»  del male compiuto, «principio e fine del mio atto» rinchiuso «su questa secca del tempo» (Macbeth, Atto I, sc. 7). Quando in realtà non c’è fine al passato, il quale «non è ciò che si annienta, ma è ciò che, proprio perché non si ripete, è compiuto, perfectum (E. Severino, La filosofia futura, Milano 2006) e dunque incorreggibile. – Arriva dunque anch’egli al pentimento inane, senza esito e senza senso («Se fossi morto soltanto un’ora prima di questo avvenimento, io avrei vissuto un tempo beato…» Macbeth, Atto II, sc. 3; e anche in Enrico VI parte II: «Oh! fosse ancora da fare! Che abbiamo mai fatto?»). – E sempre come Macbeth Claudio cede infine al terrorizzato pensiero che all’imperfezione del primo delitto possa porre rimedio solo un secondo, e così, ucciso suo fratello, si ritrova senza desiderio a complottare per «la immediata morte di Amleto. Fallo, Inghilterra; perché come l’etisia egli infuria nel mio sangue, e tu devi curarmi. Finché io non so ch’è fatto, qualunque cosa m’accadesse, le mie gioie non sarebbero mai cominciate» (Amleto, Atto IV, sc. 3).

 


 

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