"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12  settembre 2007

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 10. Metropolis

 

 

 

 


 

“…la prima origine

Di questa fretta e agitazione nel paese.”

(Amleto, Atto I, sc. 1)

 

“Sì, sì, stavolta ci siamo, è il disastro. Oh, l’ho sempre detto io, che siamo maturi per l’annessione. Il principe Fortebraccio di Norvegia una di queste mattine ci fa la festa. Ma io ho gi convertito il mio piccolo peculio in azioni norvegesi. Però tutte queste storie non mi impediscono di farmi un bel bicchierotto, domani”.

(Jules Laforgue, Amleto, ovvero Le conseguenze della pietà filiale)

 

 

«Perché una scena che si limita a illustrare un discorso non è più propriamente una scena.»

(J. DERRIDA, Prefazione a A. ARTAUD, Il teatro e il suo doppio, Torino 2000)

 

«RUMORI. Si dovrà trovare un rumore di fondo, che cerchi di manifestare, fin dall’inizio dell’atto, la continua presenza della vita, di fuori. In generale, uno degli obiettivi di questa messa in scena sarà di spezzare l’arbitrarietà del silenzio a teatro.»

(A. ARTAUD, Il teatro e il suo doppio) 

 

Parliamo intanto della prima scena del primo atto: della scenografia che deve far da sfondo al mitico maniero.

Si tende infatti a ridurre Elsinore a un castello da una parte innocentemente campagnolo, come quello dove Macbeth truciderà re Duncan, dall’altra protervamente a picco su un molto metafisico mare, il quale, da correlativo oggettivo obbedientissimo, si farà tempestoso e ribollente di schiuma, o murmure e sospiroso di risacca, a seconda dei climax e anticlimax filosofici e drammatici dell’inesorabile tragedia.

E invece - niente di più miscreduto del testo! – leggi proprio all’inizio che Shakespeare inventa una Danimarca clangorosa cupa e scintillante di schegge roventi di metallo come la pancia del vulcano dei Ciclopi: dai bastioni dove sta per apparire il noioso fantasma, Marcello vede fino all’orizzonte un labirinto instancabile di fabbriche e arsenali bellicosi, un Bosch infernale, dove le industrie come Macbeth hanno dimenticato il sonno: prefigurando (troppo facile dirlo a questo punto) ciò che proprio l’Inghilterra, nel giro d’un paio di rapidi secoli, diverrà.

 

 

 

E’ chiaro che un simile con-testo di fretta guerresca colora il testo, tanto che diventa imperdonabile dimenticare che questo strepito instancabile non meno del mare è il basso continuo di Amleto che questiona, di Ofelia canterina e demente che offre erbette ad amici e parenti, di Claudio e Polonio che architettano trucchi e tramacchi tra un sollazzo e l’altro dell’appena inaugurata vita di corte tintinnante di brindisi e urlante di orge.

 

La fretta è tale che i Danesi sono obbligati a lavorare ventiquattro ore al giorno, sette giorni alla settimana. In nessun momento, quindi, la comunità nel suo insieme può dedicare il proprio tempo al lavoro, o al riposo, o alla preghiera, neppure la domenica: una legge fondamentale della cultura dell’uomo è disattesa.»

(R. Girard, Shakespeare. Il teatro dell’invidia, Milano 2002)

 

Il rumore delle cupe fabbriche della rancorosa Danimarca sono l’intonazione di tutto l’Amleto. Le sentinelle che per prime contempleranno il Fantasma si interrogano sulla cacofonia diuturna di questa economia di guerra, annuncio di chissà quale “strange eruption”, non meno che sulla natura dell’Apparizione; e con rime e ritmi non da meno di quelli che Dante trovò per l’Arsenale di Venezia (Inferno, XXI, vv. 7-18):

 

Why this same strict and most observant watch

So nightly toils the subject of the land,

And why such daily cast of brazen cannon,

And foreign mart for implements of war;

Why such impress of shipwrights, whose sore task

Does not divide the Sunday from the week;

What might be toward, that this sweaty haste

Doth make the night joint-labourer with the day:

Who is't that can inform me?

 

 

Perché questa rigorosa e attentissima guardia

Così ogni notte affatica i sudditi del paese,

e con questa quotidiana fusione di cannoni

di bronzo e con questo mercato con l’estero

per forniture di guerra, perché questa coscrizione

di carpentieri, il cui duro lavoro non distingue

la domenica dal resto della settimana,

che cosa stia per succedere

che questa sudata fretta fa lavorare

la notte a fianco a fianco del giorno,

chi è che può dirmelo?

 

Orazio risponde che si sussurra – la Danimarca è un ingiustificabile paese di spie - di una guerra con la Norvegia.

 E, qui, nella lingua di Machiavelli, dimenticando dunque anche ogni dovere della pietà filiale, è inevitabile pensare: se la Danimarca è questa guerresca fucina, davvero cieco e bieco è un fantasma di papà talmente affamato di faida da dimenticare tutto il resto, a cominciare da questo terribile con-testo! - Un re che dimentica il regno minacciato, e spreca l’unico figlio per una trappola da cui uscirà padrone dello Stato il norvegese Fortebraccio, sarà amato perdutamente solo nell’idealità struggente di un figlio non meno commovente che, a sua volta, cieco disperatamente (il che succede, quando c’è di mezzo il papà). 


 

torna su

 

 

torna a